Peripezie di un Dirigente Scolastico

“Non sappiamo cosa accade, e questo è ciò che accade” 
(Ortega y Gasset)

Incredulità. Sono  precipitata in un girone dantesco o sto solo vivendo un sogno?

E’ una punizione divina quello che mi è capitato?

Non credo che serva scomodare l’Eterno, per una vicenda che ha solo del paradossale.

Vengo avvolta in un vortice di pensieri,  mentre leggo la nota del D.G. Bouché. Comincia a martellarmi in testa, beffardo,  il ritornello di una canzone divenuto inno della beat generation,  quando  i  giovani  che volevano cambiare il mondo  domandavano alla società

“Ma che colpa abbiamo noi?”

Già, è questa la domanda.  Che colpa ho io?- mi chiedo a ripetizione. Devo aver  commesso davvero qualcosa di  veramente grave. Da espiare  in auto,  percorrendo –a giorni alterni- quella strada che congiunge  il Medio Calore del Sannio beneventano all’Asse Mediano-Area Nord di Napoli, in altre parole San Giorgio del Sannio  a Scampia.

Quando pronunci Scampia non hai bisogno di aggiungere altro. Basta la parola  ad identificare l’inferno di Napoli, appunto! Guardi negli occhi l’interlocutore e ti specchi nella sua incredulità,  che è anche la tua: “Ma come… sei finita a  Scampia…ho capito bene? Non è uno scherzo, vero?”. Non lo è, purtroppo! L’ho saputo  nel pomeriggio dell’11 settembre. Chi non ricorda questa  data?  Attimi  che sono apparsi infiniti,  in cui il mondo intero  si è fermato attonito, incredulo, colpito al cuore.  Anche se non  può reggere il paragone, la sensazione che provo mi sembra la stessa. Mi sento  colpita al cuore, lacerata nella mia incredulità.

La prima legge di Murphy dice che se una cosa può andar male, lo farà! Non puoi farci niente.

Oppure sì.  Puoi provare a rimuovere la notizia inaspettata, come si rimuove una  ferale notizia che mai  vorresti  ascoltare.  Stai male. Anche fisicamente.  E’ come se  qualcuno si divertisse a sferrarti  un pugno nello stomaco ogni volta che ci pensi.  Allora provi a distogliere la mente.  A pensare ad altro. Ma è inutile. Passa il tempo e  provi ad elaborare  la notizia,  a darti delle risposte, che non convincono neanche te. Sai solo che  niente sarà come  prima, che cominci -da questo punto in poi- a guardare il mondo con altri occhi  e con una filosofia tutta  nuova. Perché il cambiamento  azzera  certezze  consolidate  e ti spinge a spiccare un vero e proprio salto nel  nuovo, di cui non conosci nulla. Angoscia. Paura.

Ma devi reagire. E’ la vita, bellezza!

E, dunque,  si va.  Nel cambiamento.

Partenza  alle 7,00 di un lunedì qualsiasi di  fine settembre. Aria frizzantina, come il mio umore, a voler essere buoni.  Mi aspettano circa  80 Km da percorrere in auto,  unico mezzo di trasporto utilizzabile per evitare ulteriori odissee. Con un autista speciale. Mio marito. Nella buona e nella cattiva sorte, lui c’è. Sempre al mio fianco. Lungo il tragitto,  mentre l’occhio si bea tra filari variopinti di uva matura, il pensiero spende il tempo  ad immaginare ciò che troverò.

Cosa  so  -effettivamente- di Scampia ?

Poco  e -quel poco-  penso  sia frutto  di stereotipi.  Mi scorrono davanti agli occhi  le immagini del film “Io speriamo che me la cavo”. Sarà così? Peggio. Meglio. Uguale. Non so. Le macchiette del film sembrerebbero esagerate.  Ma potrò dirlo solo più in là. Provo a immaginare il futuro che si fa  presente.  Cosa farò, che dirò alle persone che troverò lì?  E  loro ….cosa si aspettano che io dica? Uno strano senso di inquietudine mi pervade… Non sono dell’umore giusto per entrare in sintonia con la nuova realtà che mi sta attendendo. Si, lo ammetto, sono arrabbiata. Da quell’11 settembre- per giorni- ho covato rancore nell’animo, mentre il corpo era in stand-by. Non è colpa loro, mi dico. Ma l’altra parte di me, quella più razionale, questa volta non riesce a prendere il sopravvento. Ma non è neanche colpa mia, mi ripeto. Non so farmene una ragione: a 57 anni compiuti, mentre conduco il 38 esimo anno di lavoro nella scuola, la spending review  colpisce anche  me e non solo i miei  due “bamboccioni” ultratrentenni. Credevo, sbagliando,  di non essere “sfigata”; pensavo che l’ appellativo dovesse essere prerogativa dei ragazzi che a 26 anni ancora non si sono laureati. Invece no, il termine mi si addice benissimo, calza a pennello. Come vuoi  chiamare  una persona che-a detta di tutti- si caccia nei pasticci con le proprie mani?  Tutti -ma proprio tutti -ora dicono che ho sbagliato a cedere un plesso nel processo di dimensionamento. Le cose non sono andate proprio così, ma come è difficile farlo capire ai non addetti ai lavori, che come Soloni del Terzo Millennio  prima filosofeggiano e  poi sentenziano, sorridendo beffardi e puntando l’indice contro la mia  grande generosità.

Accade, così, che una scuola di taglia L (la mia!) ceda  un pezzo di scuola ad un’altra scuola di taglia S per far sì che entrambe diventino di taglia M, salvaguardandone la sopravvivenza.  Elementare, no? Invece, no. Non va così, perché il decisore politico- con la legge di stabilità-  spariglia le carte e modifica i parametri. Accade così che  la mano destra (la Regione) non vuole sapere cosa fa la mano sinistra (il M.I.U.R.). E’ un braccio di ferro tra  legislazione primaria e concorrente  e, come in ogni partita, c’è chi vince e c’è chi perde.

Provate ad immaginare chi perde.

Accade, così, che mi ritrovo a dirigere una scuola  sotto-dimensionata, cioè con parametri divenuti insufficienti a seguito di dimensionamento (553 Vs. 620) e, dunque, merito di averne  un’altra da dirigere. Ma mica in provincia di Benevento! No,  a  Scampia,  appunto.

Accade, così, che tra la Scuola di S. Giorgio del Sannio e quella di Scampia raggiungo la considerevole popolazione scolastica di mille e cento alunni. Quasi doppiando  il parametro standard fermo a 601. Naturalmente senza avere un euro in più in busta paga.  A gratis….  si dice da noi. Crepi l’avarizia!

Forse un po’ di arrabbiatura potrebbe starci,  che ne dite?

Esco dall’autostrada e imbocco via Secondigliano, a Napoli. Traffico  a passo d’uomo con  automobili  lampeggianti parcheggiate in seconda, ma anche in terza fila. Ho il tempo di osservare crocchie di persone davanti ai bar che si attardano a chiacchierare, guardare, ridere, fumare. Ai lati della strada, che a percorrerla sembra di pattinare  su un formaggio svizzero,  noto incuria  e sporcizia. Un vialone che sembra non avere fine  mi dà il tempo per chiedermi: che  ci faccio io qui stamani a Secondigliano?….nel maggiore mercato a cielo aperto di droga d’Europa e nella fortezza proletaria della camorra?

Sono sempre più arrabbiata. Entro nel quartiere di Miano, passare davanti ad una caserma mi rincuora un po’, ma  solo un po’, perché, subito dopo, tra  crocevia e direzioni sbagliate, intravedo le  fin troppo famose Vele di Scampia, quel prodotto degli urbanisti corbusiani  che hanno imposto le loro utopie sulle misere  vite  della gente di qua e ricado nella disperazione.  Le costeggio,  attraversando strade con   marciapiedi tanto  larghi, quanto vuoti. I parchi sono recintati per sicurezza. Quasi non ci sono negozi o bar. Molti condomini stanno prematuramente cadendo a pezzi e alcuni, ancora disabitati, sono stati distrutti dalle fiamme.  Agli angoli delle strade cassonetti, anch’essi  sventrati dalle fiamme, mostrano il loro vomitevole contenuto. Su un manifesto attaccato sulla facciata di un palazzone – saprò che sono le  cosiddette Case Celesti- si legge: se credete in Scampia, troverete un mare di amore. Comincio a crederci. Magari è così, perché no? Ma  i molti blocchi dei cupi appartamenti  delle Vele, che racchiudono cortili difendibili con rampe di scale fortificate che possono essere controllate dall’interno, non aiutano a sperare.

Sono qui i bazar della droga, noti come “piazze”.

Mi sono informata prima di partire. L’87° Circolo è nel rione don Guanella, in via Don Puglisi, al numero 55.

Non conoscevo Don Guanella, ma mi dà una mano  Wikipedia: è stato il  Sacerdote fondatore delle congregazioni religiose dei Servi della Carità e della Figlie di Santa Maria della Divina Provvidenza, che  sostengono  gli abbandonati,  “coloro che sono poveri nell’ingegno o nella salute o nelle sostanze”, sia giovani che anziani.

Conoscevo già  di fama Don Pino Puglisi, quel piccolo prete di borgata del quartiere Brancaccio di Palermo, che cadde ucciso  dalla mafia nel giorno del suo 56^ compleanno, per aver visto  il film di Faenza  “Alla luce del sole”.

Ricordo ancora le parole   che pronuncia quando torna  nel quartiere come parroco “ io ho sognato il futuro di questo quartiere ed è stato proprio bello. Bello perché ho sognato un posto dove erano spariti i furti, era sparita la droga, dove non c’erano più violenze, prepotenze, dove la gente non aveva paura, dove non c’era più la fame perché c’era lavoro per tutti, dove c’erano delle scuole bellissime, dove i bambini giocavano ».

Vorrei sognare anch’io.  Ma vedo altro.

Arrivo dopo due ore di viaggio, in tarda mattinata e dopo aver sbagliato, oltre che strada, anche scuola.

Google Maps con una digitazione approssimativa mi ha portato fuori strada, nel senso letterale del termine. Sono finita in un Centro Sociale intitolato a Don Guanella, che ospita bambini e ragazzi con problematiche sociali ed assistenziali ed anche un plesso dell’87° Circolo Didattico, che però- non ditelo a nessuno, mi raccomando!- sembra risulti sconosciuto al MIUR.

C’è voluto l’intervento di una docente di questo Plesso, che ho scoperto chiamarsi Fernandez, per portarmi a destinazione, tra  dedali di strade che si assomigliavano tutte. Quando  ha capito che ero la dirigente venuta da lontano e che non conoscevo affatto la zona,  si è offerta di accompagnarmi a destinazione. Per prudenza, mi ha detto, prendendo le chiavi dell’auto e la borsa. ….. Veramente ha  sussurrato anche questo: E’ meglio che vi accompagni, siete facce nuove. Siete sotto osservazione”.  Rabbrividisco, ma resto muta. Ci rimettiamo in macchina, senza perdere di vista l’utilitaria che ci precede. Alla fine la vedo… Ci entro. Il cuore fibrilla. Salgo le scale dietro la docente. Mio marito dietro di me, non mi lascia da sola.  Saluti e strette di mano timorose, riverenti, formali.  Arrivano all’istante le due docenti collaboratrici… capisco che erano in attesa da tempo. Mi fanno accomodare nell’Ufficio di Presidenza, spartano e pieno di luce. Troppa.  Il caldo è tanto. Il calore umano un po’ meno. Ma, si sa,  anche loro come me, sono sulla difensiva. Formali ed osservatrici. Io, da parte mia, non cerco nemmeno più di mascherare la mia rabbia. Non dico che sono scortese, ma rigida e scostante, sì.

Per tutti, sono la dirigente che viene da lontano. Si sono documentate, anche loro. Conoscono già come sono andate le cose. Hanno già  visto andar via il DSGA,  ma si augurano che ritorni. Anche io  spero…. spero di tornare alla mia Scuola, quella di San Giorgio del Sannio, mia da oltre 10 anni. Ma intanto parliamo. Io racconto la mia rabbia, loro raccontano la  loro solitudine di docenti, il loro impegno quotidiano e silente in un ambiente molto più difficile di quanto io potessi immaginare. Mi raccontano di due campi rom, che rappresentano il disvalore aggiunto e l’ennesimo problema irrisolto, in una realtà che è già difficile di suo.  Le  lacrime che spuntano sulle guance della seconda collaboratrice quando dice che non ha avuto mai il coraggio di fare domanda di trasferimento, dopo il primo anno trascorso a Scampia, mi ricordano le parole del protagonista del film Benvenuti al Sud “ Chi viene a Napoli piange due volte: quando arriva e quando se ne va!

Le guardo negli occhi e fatico a crederci.  Anche se dentro di me qualcosa mi dice che le Scuole, in fondo,  si assomigliano un po’ tutte. Perché dentro c’è sempre un cuore pulsante di vita.  Di relazionalità  e di problematicità. Di affinità e di diversità. Di valori e di disvalori.  Di amore e di violenza. Di integrazione e di emarginazione. Di esclusione e di inclusione. Di rispetto e di disprezzo.

Qui le contraddizioni si percepiscono nell’aria. E’  una comunità scolastica realmente problematica,  ma capisco che molti che stanno qui lo  hanno fatto  per scelta. La tentazione di arrendersi è forte. Ma la sfida è altrettanto allettante  e si legge negli occhi delle due docenti che mi stanno di fronte.

Sono sempre più scoraggiata. L’impatto con questa realtà è troppo forte. Vorrei fuggire. Provare a ripararmi nel ventre  materno di quella scuola che dirigo da due lustri e che sento mia.

Cosa posso fare io per questa realtà in un tempo così breve? Gestire l’esistente? E’ questo ciò che chiede questa comunità, che ormai sembra assuefatta più che disperata? Che non grida  il suo disagio, ma lavora in silenzio con le scarse forze  di cui dispone? Qualcuno -in alto- si è chiesto e si chiede  se necessiti di un impegno più assiduo e costante? Si può dirigere una scuola come questa  a giorni alterni?

Io credo di no, ma il mio è un giudizio di parte.

Qualcuno, qui, ha provato a far sentire la propria voce ed ha scritto al Ministro Profumo, al Prefetto della Provincia di Napoli, al Direttore Regionale della Campania, al Presidente dell’VIII^ Municipalità, contestando  l’ assegnazione delle  reggenze alle istituzioni scolastiche di Scampia.

I colleghi dirigenti che operano in questo territorio hanno segnalato la  scarsa attenzione, al di là delle dichiarazioni di intenti,  nell’assegnazione dei reggenti alle istituzioni sottodimensionate del quartiere  Scampia da parte dell’U.S.R., perché le scelte sembrano avere ignorato il problema. Considerata la specificità del contesto territoriale,- affermano nella lettera– forse sarebbe stato necessario  ricorrere a qualche deroga da presentare e perorare opportunamente  presso le direzioni nazionali.   Accade così che la reggenza dell’87° Circolo Didattico – Don Guanella – viene affidata alla dirigente Cirocco Gabriella,  la cui primaria sede di servizio è situata a San Giorgio del Sannio, distante 120 Km da Scampia,  per cui certamente non sarà assicurata la quotidiana presenza del Dirigente, presenza, che nella scuola dell’autonomia, è requisito fondamentale per un’efficace gestione.

Il Direttore dell’U.S.R. –aggiungono– ha operato nella scelta dei reggenti con i criteri dell’ordinarietà, senza pensare di richiedere agli organi preposti una deroga necessaria ad assicurare un soddisfacente funzionamento delle istituzioni scolastiche. Nelle scuole di frontiera, come è per Scampia, i presìdi della legalità, debbono poter funzionare al meglio in ogni momento.

Il Dirigente di S. Giorgio del Sannio –scrivono-, anche se armato delle migliori intenzioni,  potrà assicurare solo sporadicamente la propria presenza fisica presso il Don Guanella, lasciando quindi nelle mani di collaboratori, certamente esperti, la concreta gestione della struttura e del personale, anche nei momenti di criticità, senza il conforto dell’esperienza e delle prerogative della funzione dirigenziale.

 

Ecco la richiesta dei colleghi:

Signor Ministro, non ritiene che sia necessario un Suo autorevole intervento  per sollecitare e consigliare il Direttore Regionale affinché adotti soluzioni di gestione delle scuole di Scampia che rimuovano le difficoltà oggettivamente presenti, peraltro  aggravate da scelte inopportune?!

A nostro parere, –continuano– l’incremento di spesa per due reggenze attribuite in deroga, troverebbe ampiamente giustificazione e legittimità per la particolarità della situazione!

Siamo certi che vorrà intervenire per rimuovere rapidamente gli ostacoli che si frappongono ad una soluzione razionale delle criticità sopra evidenziate.

Accendere i fari sul quartiere, mobilitare i media, ricorrere alla tecnologia della video sorveglianza sono scelte importanti, i cui esiti saranno, però, tangibili solo  nel  lungo termine.

Noi chiediamo strumenti che consentono  immediatamente di seguire, monitorare e indirizzare in tempi reali tutte le azioni che facilitano il governo dei processi di socializzazione, di educazione e formazione dei nostri giovani assieme ai cittadini  della municipalità.

 

La missiva ovviamente non ha avuto riscontro, of course!

Cosa ci si poteva aspettare?

I  decisori sono sempre troppo impegnati e, se sollecitati, vengono a Napoli  attraversando i palazzi del potere e, se vengono a Scampia, lo fanno in passerella, pronunciando proclami  coniugati al futuro e belle parole per i presenti, consegnando premi e scappando presto da lì, rinchiusi nelle molto rassicuranti  auto-blu lampeggianti.

Infatti, nella stessa mattinata in cui prendo servizio qui, alcuni alunni sono stati premiati dal sottosegretario Marco Rossi Doria per la partecipazione al progetto “I sogni son desideri”. Mi è stata consegnata una copia della pubblicazione che comincio a sfogliare con interesse, in auto sulla strada del ritorno,  cercando di carpire elementi per entrare nella vita di questa comunità.

Il Presidente dell’VIII Muniipalità  di Napoli, nell’introduzione, invita a leggere Scampia non come luogo di perdizione, né come equazione uguale droga, faide di camorra e gomorra. Invita a leggere i sogni dei bambini di questo territorio, che fanno aprire gli occhi su una realtà diversa, anche se non meno amara.

I sogni dei bambini di Scampìa –scrive– sono semplici, nobili, ricchi di umanità e generosità. Afferma ancora che sono il frutto di una Scuola con la S maiuscola. Peccato che siano solo parole e restino solo parole, Avvocato Pisano, perché una Scuola con la S maiuscola non può, come una barca tra i marosi, essere lasciata senza timoniere ed, al più, averlo due/tre volte a settimana. I Bambini sono il miglior biglietto da visita di Scampìa, ma bisogna credere nel loro futuro con i fatti e non solo con i concorsi.

Non bisogna lasciare che la loro “casa” sprofondi nei meandri burocratici, quando si fa richiesta di certificazione sulla sicurezza e il Comune di Napoli- cui l’VIII Municipalità appartiene- non ci degna di nessuna risposta, nei pantani dei proclami,  quando arriva il sottosegretario e promette mari e monti e subito dopo fugge via per impegni istituzionali, nelle paludi del “ non abbiamo soldi”, quando l’acqua entra dai solai e la ASL effettua il sopralluogo e intima la chiusura di laboratori e persino di aule, diffidando il dirigente scolastico pro-tempore ad adempiere alle prescrizioni, in mancanza dei quali sarà denunciato all’Autorità Giudiziaria. Nel frattempo il Dirigente Scolastico resta solo ad affrontare il problema e lo risolve, mediante il  coinvolgimento di genitori disposti a lavorare  “a gratis” per il bene della comunità scolastica e dei propri figli in particolare.

Troppo comodo.

E poi non basta affatto pubblicare le lettere dei bambini in raccolta. Quelle lettere vanno lette ed analizzate con attenzione singolarmente e complessivamente. Solo allora si potrà capire quanto la speranza sia  la grande assente da questi  componimenti, ma soprattutto dalla vita di questi ragazzi. Perché se il 90% dei bambini di  Scampìa sogna di diventare calciatore, cantante o velina, beh allora vuol dire che vuole scappare da quella brutta realtà, non modificarla per renderla più “ a misura d’uomo”. Vuol dire che la Scuola ha fallito, ancor prima di iniziare, perché non riesce a proporre significativi modelli di riferimento. Non uno, uno solo, che voglia diventare maestro e continuare a lavorare in quella zona di frontiera. Come dar loro torto! Chi di noi non sarebbe tentato di scappare?  Anch’io  sento il bisogno di dimenticare Scampìa.

Dice Giuseppina, 14 anni, della Scuola Media Carlo Levi: “Un’altra cosa che mi infastidisce è vedere persone, i politici, pensare solo al denaro invece che al bene del paese, politici che rubano al proprio paese è una vera schifezza, i sogni son desideri, desideri che non si avverano mai”.  Una consapevolezza disarmante, che dimostra una impossibilità ad uscire da una realtà tremenda, nemmeno attraverso il sogno.

Togliere la capacità di sognare significa tagliare le gambe al nostro futuro.

Fortunatamente, in prima linea, accanto a loro,  ci siamo noi, la “Scuola militante”, non i politici. Sempre e solo noi. Fieri di esserci. Anche quando ci chiedono di tutto. Senza ritegno.

Come di  lavorare gratis, perché abbiamo avuto la disgrazia di vederci assegnate  due Scuole  sottodimensionate.

La ragionevolezza non è  più un criterio  in uso.

Alla mia Scuola sono mancati  47 alunni per superare la soglia dei 600,  soglia utile per poter lavorare tranquillamente. Mi è stato detto: Poiché ti mancano 47 alunni per superare i 600,  te ne diamo altri 550, ma mica nel tuo territorio! No, a 80 Km di distanza. E per raggiungere la sede, saranno affari tuoi. Atteggiamento pilatesco  da subire in silenzio.

Ma  cosa è diventata la scuola?

Mi scorre davanti  il tempo vissuto nella e per la Scuola. Tanto  tempo.   Da docente, da direttrice didattica, oggi da dirigente scolastica.  Con il convincimento di poter essere un ingranaggio infinitesimale, ma pur sempre importante,  di un progetto di vita formativa.

Oggi quella convinzione è stata messa a dura prova; per quanto mi  impegni a cercare, non riesco a ritrovare il bandolo della matassa,  nella quale si è aggrovigliata la mia vita professionale.

E così scorrono le giornate, persa a lavorare anche a casa per le scuole,  a lavorare nella “tua” scuola pensando all’altra, figlia illegittima che  spunta all’improvviso e ti chiede  aiuto. Che fai? Cerchi di trattare tutte e due  allo stesso modo, ma non ci riesci. E mentre continui a chiederti perché accade questo, ti  dai da fare per dare risposte di senso a quello che un senso non ha. Parli al telefono con Napoli mentre sei a S. Giorgio e con S. Giorgio mentre sei a Napoli. E, intanto, ti chiedi: ce la farò?  Risposta non c’è. Il cambiamento ti spinge a camminare. Cercando la luce nel buio di quel tunnel che stai percorrendo a tentoni.

Sei sola con il tuo problema, che resta comunque sempre e solo tuo. Cerchi chi possa darti delle risposte. Cominci a pensare che in fondo, sì, un alleato ci sarebbe. Quando pensi di aver subìto un’ingiustizia- ed è quello che penso io- c’è solo una possibilità. Un  terzo.  Che studia il caso. Dandoti torto o ragione. Ponendo fine al dubbio che ti consuma.

E’ quello che farò. Perché non ce la faccio a sostenere questo fardello. Potrò farlo solo a condizione di sapere che è giusto quello che mi  è successo.

Nel frattempo, continuo a fare la spola tra Medio Calore e Scampìa. Tra un sopralluogo per un avvallamento, tra una risposta alla polizia giudiziaria per un infortunio sul lavoro avvenuto nel lontano 2010 ( si sa, in Italia, ci si muove con un tempismo da tartaruga!), una richiesta di intervento all’VIII^ Municipalità per caduta di cornicioni, una richiesta alla ASL per il dissequestro di aule gocciolanti di pioggia e tanti provvedimenti di esercizio quotidiano, arriva anche l’incontro con la moglie di un camorrista.

La vedo arrivare in una  calda mattinata di settembre, preannunciata dalla mia vice.

Elegante, sinuosa, ben curata, alta e magra, dall’aspetto distinto, che così di primo acchitto non penseresti mai al  ruolo che interpreta. Si presenta come la mamma di Carlo, un bimbo che frequenta per la prima volta la scuola dell’infanzia chiamata 18 I (no, non è l’indirizzo di un campo di Mathausen, dicono che qui le strade vengono identificate così). La osservo da capo a piedi: in questo ufficio spartano appare alquanto fuori luogo.

Capelli lunghi mechati e ben pettinati, camicia inequivocabilmente di una notissima casa inglese, orecchini pendenti cerchiati di pesante oro giallo, cinturone della stessa casa francese della borsa, jeans  attillati di un  noto stilista italiano, tacchi a spillo e- oggetti che proprio non possono passare inosservati- tre pesanti bracciali dei tre colori dell’oro al braccio sinistro.

La faccio accomodare, curiosa di sentirla parlare, non prima di aver posto uno sguardo interrogativo alla docente che mi siede di fronte. Ma lei, eludendo il mio sguardo, semplicemente abbassa il suo.

Non ho ancora capito cosa voglia da me. Ma l’eloquio non le manca. E’ affabile, gentile quando mi racconta che suo figlio non vuole più venire a scuola, nonostante l’entusiasmo dell’esperienza dei primi giorni. Mi dice che un bambino prepotente gli ha tolto il posto che si era guadagnato sulle  giostrine, sotto l’occhio vigile della maestra, che nulla ha fatto per impedire questo sgarbo. Ma come- mi dice- io che, al contrario degli altri “esponenti” (sì, dice proprio così!) ho deciso di iscrivere mio figlio ad una scuola “pubblica” e voglio che mio figlio continui a frequentare questa scuola, devo essere oggetto di tale trattamento? E’ giusto?

La guardo, mi vesto di  un sorriso disarmante e vado all’attacco, forte della mia esperienza di docente. Le dico che il bambino dovrà abituarsi  a relazionarsi con gli altri, docenti compresi,  a imparare a rispettare le  regole e che una mano importante dovrà darcela proprio lei e la sua famiglia. Sembra convincersi e dopo altre domande, la congedo, non prima, però, di aver avuto conferma alle mie supposizioni. Mentre le do la mano, le chiedo di getto: Scusi, ma Lei non ha paura in questo quartiere di andare in giro così ingioiellata? Risposta: No, a me non mi toccano!   Appunto.

Arriva il Natale.  Come le luci in questo periodo, mi sento anch’io una dirigente ad intermittenza.

Con la festa, però, per la prima volta, il terrore della camorra entra a scuola. In una Scuola Materna. Non la mia, ma questo  ha poca importanza.  Il fatto è grave, troppo grave e solletica i media. Ecco allora come per incanto, materializzarsi lo Stato. Ma dubito  che ci resterà molto a Scampìa. Decido -perciò- di scrivere a Gesù Bambino.

Caro Gesù Bambino,

chi l’ha detto che solo i bambini hanno il diritto di scriverti?

Tu  che  fai rinascere ogni anno nel cuore  un messaggio di rinnovata speranza  per tutti, ascolta anche me questa volta che bambina non sono più da un pezzo!

Ecco io da settembre conosco personalmente una nuova realtà scolastica.  Molto distante, e non solo per i km, dalla realtà in cui vivo.

La conosci meglio di me, tu che sai tutto. E’ la scuola di Scampia.  Dove  il forte sopravvive e  il debole muore. Dove c’è chi non alza più nemmeno il sopracciglio per indignarsi. Ma  dove c’è  perfino chi lotta tutti i giorni in silenzio per affrancarsi.

A Scampia si  accende , ad intermittenza…come le luci che illuminano il Natale,  il lunapark del terrore.

E Scampia ottiene le luci della ribalta.

Ma, come finisce il giro sulla giostra,  subito   le luci si spengono. Avanti il prossimo…

Ogni giorno c’è una scuola che resiste,  c’è una scuola che lotta, c’è una scuola che pensa, c’è una scuola che educa.  Ma è sempre più difficile continuare a farlo, quando le luci si spengono. Cioè, quasi sempre.

Si comincia con  una scuola violata. Quest’anno era quella che cantava per Te.  Domani, chissà cosa accadrà.

I bambini sono  l’unica  bellezza di Scampia, perché Scampia non è solo bellezza, si sa.

E’ guerra non dichiarata.

Viene a Scampia il Presidente e  dietro il Ministro e il Sottosegretario e  poi ancora  il Prefetto e il Direttore Generale,  a  portare rassicurazioni: “Lo Stato  è qui, non vi abbandona. Siamo pronti ad intervenire”, dopo che una mamma dichiara nei microfoni: Noi  qui abbiamo paura!

Passerelle  una-tantum, da gradire all’occorrenza.

C’è bisogno di gente  che  educa con l’esempio e la passione, non solo di repressione. Ma ogni giorno.

Perché i bambini diventano ciò che vivono. E fanno ciò che vedono.

Gesù Bambino,

quest’anno ti chiedo

di  illuminare per sempre di speranza

i giorni e le notti di Scampìa!

Ed ora, non mi resta che attendere. Attendere e sperare. Che cambi qualcosa.

Qualcosa è cambiato il 18 gennaio del nuovo anno.  Una svolta. Mi riapproprio della mia professione. Mi riconcilio con me stessa ed il mondo. Giustizia è resa. Missione compiuta. Ma è solo il primo round. Il secondo- definitivo- si chiude ad aprile. Si volta pagina.

Ma non è così: una visita della polizia giudiziaria avvenuta il 14 novembre 2012 ha il suo compimento il 16 maggio 2013, con una prescrizione o ammenda come vogliamo chiamarla di  milletrecento euro da tirar fuori di tasca mia. Con la sicurezza non si scherza: neanche a Scampìa.

E continuano le mie personali, spero non  inutili, considerazioni………  con la pretesa  di portare una riflessione anche sull’assunzione dei rischi derivanti dallo svolgimento della funzione di datore di lavoro.

Semplicemente so  per certo-oggi- di essermi trovata il 14 novembre 2012, nell’esercizio delle mie funzioni di dirigente scolastico,  nel posto sbagliato al momento sbagliato.

Io in quella Scuola non avrei dovuto mai prendere servizio; ma, si sa, siamo in Italia e se vuoi far valere i tuoi sacrosanti diritti sei costretto a percorrere le vie giudiziarie,  che sono lastricate di vincoli e lacciuoli. Ho dovuto prendere servizio presso l’87° Circolo didattico Don Guanella,  nella consapevolezza che questo atto mi avrebbe investito di tutte le pesanti responsabilità che prima potevo solo immaginare e  che oggi posso affermare, con certezza, essere tali.

Nel  lasso di tempo durato quasi 5 mesi, durante il quale ho dovuto attendere la sentenza del giudice che ristabilisse certezza di un  diritto violato,  ho dunque lavorato nel posto sbagliato, per responsabilità di altri, che non pagheranno affatto di persona -come  invece è successo a me- per un errore  commesso nell’esercizio delle loro funzioni.

Cominciare a lavorare in una scuola che non conosci, problematica e lontana oltre 80 Km da quella nella quale hai esercitato per 10 anni e che continui a dirigere insieme all’altra, creerebbe a tutti  qualche difficoltà.  Ma questo è il tuo lavoro e per quanto tu possa  rimuginare e protestare, devi solo agire, sperando che non accada l’irreparabile. Per questo avresti bisogno di tempo. Ma tempo non c’è per riflettere. Bisogna sbrigarsi, se non vuoi essere risucchiato dall’ingranaggio della macchina, che -volente o nolente- ti hanno chiamato a guidare (in questo caso, erroneamente!).

Nel primo colloquio, durante il secondo giorno di servizio nella scuola di Scampìa il 26 settembre 2012, il Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione (quello c’era, per mia fortuna!) mi ha presentato un  quadro della situazione non proprio tranquillo, che  mi ha spinto ad occuparmi della questione sicurezza  fin da subito; dal giorno successivo mi sono messa all’opera nella speranza di affrontare almeno le questioni più scottanti.  Ma non disponendo di  superpoteri da mettere in campo e non potendo avere l’ambizione di realizzare tutto e subito, ho pensato di redigere  una scaletta delle azioni prioritarie. Perlustrando l’edificio principale, facendo aprire una porta di sicurezza, ho visto una cosa incredibile; nel punto  di raccolta,  con l’erba alta un metro ed un motozappa arrugginito posizionato giusto al centro della scala di sicurezza faceva bella mostra di sé un allevamento di polli.  Roba da non credere! Alla docente vicaria ho chiesto spiegazioni. Un po’ imbarazzata mi ha risposto che era opera del custode della scuola, che  occupa  con la famiglia  l’appartamento al pian terreno. Non ho osato chiedere altro.  Ho capito che era indispensabile  far finta di non vedere.

 

Ho  richiesto  subito le certificazioni di rito, quelle  di competenza dell’Ente locale (naturalmente senza ricevere nessun riscontro!), ho  nominato i responsabili del servizio della sicurezza, che non erano mai stati formati e ho provveduto a far iscrivere  gli stessi (non tutti insieme, naturalmente!) ai corsi di formazione che  l’Amministrazione scolastica organizza periodicamente,  dovendo anche superare  le reticenze del DSGA che continuava a ripetermi che non c’erano “ i soldi disponibili per fare tutto questo!” e a domandarmi “come paghiamo, preside?”

Mentre mi apprestavo a fare altro, tra cui  avviare le procedure per la designazione del medico competente,  il 14 novembre 2012 per un infortunio sul lavoro avvenuto nel lontano anno 2010, di cui non potevo sapere, mi viene notificato un verbale di ispezione. Il primo dopo 17 anni da dirigente.

Mi convinco di essere, oltre che nel luogo sbagliato, anche nel momento sbagliato.

Appare surreale quello che accade.  Ma come….. mi dico-sono trascorsi oltre due anni dall’infortunio. Nel frattempo poco o nulla è stato fatto da chi ha diretto la scuola  fino al 31 agosto 2012.  E ora che arriva  “una dirigente  che viene da lontano” peraltro ad intermittenza, dopo esattamente 20 giorni di servizio effettivo a Scampìa,  arriva la visita ispettiva.  Se non è  sfiga questa, ditemi cos’è!

Accade così che quello che avrei dovuto porre in essere di lì a poco, cioè avviare le procedure propedeutiche alla nomina del medico competente, sono  costretta a farlo attraverso una prescrizione a seguito di ispezione, pagando di persona le conseguenze amministrative, con una  sanzione pecuniaria non proprio simbolica.

Valuto tutto questo un fatto profondamente ingiusto. Medito di impugnare il provvedimento. Ma c’è da affrontare un processo penale, probabilmente lungo e stressante. Ho deciso di pagare l’ammenda.

Nella scuola di frontiera che ho diretto per quasi cinque mesi ho percepito e toccato con mano quello che l’immaginario collettivo pensa di Scampìa, un’illegalità diffusa ed il perdurare di immobilismi difficili da smantellare ed abbattere. Perché ho cercato di  fare qualcosa, devo rimetterci  di tasca propria?

Quello che mi è capitato  non mi induce a ben sperare.

Rispetto chi è chiamato a compiere il proprio dovere, non sempre attraverso strumenti piacevoli.

Considero la funzione di datore di lavoro assegnata al dirigente scolastico dalla normativa vigente  profondamente sbagliata e da rivedere.

Le ispezioni in tutte  le scuole di Napoli, della Campania,  dell’Italia dovrebbero  avere non finalità sanzionatorie, ma di sostegno ed accompagnamento  per essere  accanto ai dirigenti scolastici nell’impegno quotidiano e condiviso,  teso a  migliorare   il livello  di sicurezza delle scuole. Solo così i dirigenti scolastici potranno spogliarsi dell’appellativo di  “capri espiatori”  , vestito cucito su misura  da  quando il legislatore li ha individuati, a torto, “datori di lavoro”, non fornendo loro nel contempo, adeguati strumenti di operatività  e adeguato riconoscimento a livello economico.

A  pagare , in fondo, sono sempre i soliti noti. Gli ultimi, quelli che restano col cerino acceso in mano e si scottano.

L’ammenda, pari a circa la  metà del mio già misero  stipendio mensile di pseudo-dirigente, servirà  a sanare una piccolissima parte delle  tantissime inefficienze del sistema Italia?

A voi la risposta.

Come vittima sacrificale,  immolata sull’altare di scelte  incompiute o  mai avviate, sbagliate e incongruenti con le logiche del buon funzionamento della cosa pubblica chiudo questo pamphlet con un GRAZIE a chi è riuscito a leggermi fin qui.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *