Misantropo

“Quando vedo gli uomini comportarsi tra loro così come fanno, mi sento prendere dal più tetro e profondo malumore. Dappertutto non scorgo che bassa adulazione, ingiustiziainteressetradimento, intrigo.” (Moliére)

Misantropo è una parola forte, che racchiude molte verità volutamente tenute sotto chiave o dimenticate tra le righe di veri e propri capolavori del passato, ma che il teatro riesce sempre a liberare e a  riportare in scena, come magistralmente accaduto qualche sera fa al Modernissimo di Telese Terme. 

Il Misantropo di Moliére ha quasi quattro  secoli, eppure sembra scritto ieri: racconta la perenne lotta dell’uomo onesto e sincero contro la corruzione e quella ancora più grave contro l’ipocrisia dilagante nella società. In questo mix equilibratissimo di commedia e tragedia umana, ho visto emergere tutti i temi essenziali del vivere: il rapporto con gli altri, con la società, con il mondo, con la donna amata. Alceste  è un personaggio  moderno e contraddittorio, cerebrale e indignato, per il quale il bene e l’etica sono scelte assolute che non ammettono il minimo compromesso e da  rivendicare sempre con furore.

Proprio non ce la fa ad essere diverso, non vuole sentire ragioni, nonostante l’amico Filinte faccia di tutto per fargli cambiare modo di agire. No, lui resta  nemico acerrimo  anche dei capricci dell’alta società, dove si scontra con le debolezze innocenti e con i necessari galatei del convivere. Qui, peraltro, lo scopriamo anche prigioniero di una indefinibile ambiguità. Incapace di mentire al prossimo, ossessionato dal dover dire sempre ciò che pensa, arriva tuttavia a  mentire a se stesso nel campo degli affetti. Seppure seccato dai comportamenti poco ortodossi  della sua amata e civettuosa Celimene, non riesce ad essere altrettanto   intransigente  quando sente circolare  voci maligne sulla sua mancanza di serietà. In questo caso  non riesce ad agire nel rispetto dei suoi conclamati principi, cercando compromessi e giustifiche che alla fine non trova. Alceste ne soffre per questo e sperimenterà sulla sua pelle la struggente inefficacia  dell’amore, in una società anestetizzata e insensibile ai suoi richiami.

Il sorriso che strappa allo spettatore è amaro; Alceste è insieme punto di congiunzione e di rottura per lo spettatore, che con Lui s’identifica e da Lui si distanzia, sublime riassunto di tutte le debolezze e le grandezze dell’essere umano, comico perché patetico, ma anche eroico e tragico perché patetico.

Anche noi, come lui, siamo costretti a recitare nella vita;  anche oggi  l’apparenza prevale sui valori,  così come sorridiamo della donna che ama, che è esattamente il contrario di ciò che lui  desidererebbe,  signora dei salotti, attorniata dalla sua corte mondana, decisa a non rinunciare a niente, né all’amore esclusivo di Alceste, né al gioco seduttivo con la folta schiera di pretendenti.

Sembrerebbero incompatibili,  ma l’attrazione è tale che non si capiscono ma si amano, si sfuggono ma si cercano, si detestano eppure faticano a separarsi. Sono un uomo e una donna di oggi, con torti e ragioni equamente distribuiti, protervi nel non cedere alle richieste dell’altro, attaccati tenacemente alle proprie scelte di vita, in perenne conflitto tra loro.  Il protagonista Alceste, da intransigente idealista,  cerca di convincerla a rinunciare al mondo a cui è abituata per amor suo.

Ma  il suo disegno è impossibile e lo conduce a una cocente sconfitta.  Ripudiato da tutti, abbandona la societa mondana in cui si trova immerso e si ritira per una vita solitaria.

Il rapporto conflittuale che esiste tra i due ci induce a pensare come non sia possibile amare senza fare e farsi del male, come i porcospini della favola di Schopenahauer, che d’inverno si stringono l’un l’altro per trovare calore, ma poi si ritraggono per evitare gli aculei dei propri simili. E’ una metafora perfetta della vita sentimentale di tutti gli  esseri umani, sbattuti fra il dolore del coinvolgimento e l’isolamento dell’amore.

A trionfare sarà solo Filinte,  l’amico  che resta insensibile al fantasioso dover essere dell’amico moralista, e chi la pensa come lui, fermamente  ancorato alla realtà, convinto che il mondo con i suoi difetti non si può cambiare e quindi l’unico modo per vivere bene in questa società pervasa da immoralità e dissimulazione è l’adattamento al suo mondo fittizio, come fanno il  politico con velleità da scrittore, i giovani bene vanesi e modaioli, la dama di carità, ipocrita e bigotta, dando vita a parodie attualissime dei vizi e dei difetti dell’alta società di ieri, di oggi e di domani.

Sono parodie che  fanno  riflettere: nei loro vizi e diifetti  della società di sempre possiamo ritrovare e riconoscervi i nostri.

Trovando il coraggio di ammetterli e, se possibile, anche di confessarli. Magari solo a noi stessi.

 

 

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