Cos’è la guerra?
La guerra è il bisticcio dei grandi. Però é più pericolosa perché le mitragliatrici, le bombe e i carrarmati non sono finti, come le nostre pistole che spruzzano acqua, sono veri, perché uccidono veramente. (Andrea, 6 anni)
Esiste una guerra giusta?
Si. La guerra giusta esiste, ed è solo quella che si fa per gioco. Lì puoi sempre rivivere, anche quando muori. (Martina, 7 anni)
Sono i bambini a parlare, con frasi che appaiono così genuine e anche un po’ scontate, ma sempre così giuste.
Eppure i Grandi non hanno ancora imparato ad ascoltarli.
L’ultima guerra è quella che si combatte da circa un mese in casa nostra, in Ucraina, dopo quasi 80 anni di pace; la Tv trasmette ininterrottamente immagini di persone in fuga, insieme a scene di devastazione, distruzione e morte, che la mia generazione aveva sino ad ora conosciuto solo grazie ai racconti di genitori e nonni o per averle osservate sui libri di storia.
I bambini giocano alla guerra.
E’ raro che giochino alla pace
perché gli adulti
da sempre fanno la guerra,
tu fai “pum” e ridi;
il soldato spara
e un altro uomo
non ride più.
E’ la guerra. (B. Brecht)
E allora, se quello che succede dalla notte dei tempi riusciamo a perpetrarlo ancora oggi allo stesso modo, davvero non abbiamo nulla da insegnare, ma molto da apprendere dai bambini.
La guerra dei piccoli è sempre stata quella finta dei cortili e dei rioni, coi fucili e le pistole di plastica portati da Babbo Natale o acquistati alle sagre religiose, insieme ai lecca-lecca e alle noccioline.
Ma anche quella in casa, che schierava truppe di soldatini di piombo in piedi, inginocchiati o pancia a terra, sul tavolo della cucina o a terra in salotto, quando gli avversari si sfidavano per farli cadere in imboscate o combattimenti, sotto i colpi onomatopeici che evocavano suoni della battaglia.
Anche quando le armi vere-ma-finte sono state sostituite da quelle virtuali della playstation, per manovrare joystick che mandavano avanti eserciti a combattere nemici e a lottare per la vittoria, sempre di gioco si trattava, dal quale si poteva uscire senza danno, perché chi moriva si rialzava sempre.
Gli adulti non giocano alla guerra, la fanno e basta, per davvero.
E nella loro guerra “per davvero” chi muore, muore e basta e non sorride più.
Gli adulti ricordano che qualsiasi gioco- compreso quello alla guerra- è condizione imprescindibile della crescita?
Ricordano che siamo stati piccoli e che per affermare la nostra individualità e dire al mondo che esistiamo anche noi, sviluppiamo un’aggressività puramente funzionale ai nostri bisogni?
Che lo facciamo quando vogliamo persuadere gli altri a fare quello che più ci piace, quando vogliamo avere sempre ragione, quando vogliamo decidere da soli, senza dover sottostare ad obblighi o condizioni di sorta?
Abbiamo imparato che questo atteggiamento si modifica col passare del tempo, non appena ci si impadronisce di nuove forme di comunicazione, per parlare e farsi capire, invece di usare le mani, la violenza e la sopraffazione come unici strumenti di conoscenza del mondo?
Riconosciamo che imparare a litigare e, soprattutto, a superare il litigio con il dialogo ed il rispetto dell’altro è il solo mezzo che abbiamo per sconfiggere una volta per sempre quell’attaccabrighe e quel guerrafondaio che è in noi?
Pare che i Grandi della Terra questa lezione non l’abbiano mai imparata sul serio o forse, più realisticamente, abbiano deciso di rimuoverla dai loro pensieri, lasciando che a pagare siano sempre gli stessi, i più deboli e i più fragili, cioè la gente comune.
I morti non sono mai solo numeri.
La guerra, come forma più crudele e cruenta di soffocamento delle libertà e delle diversità, è il peggior tradimento che possiamo fare all’infanzia.
Esistono parole giuste per raccontare quello che sta accadendo?
No, non ci sono, nella guerra tutto è ingiusto.
Se solo provassero, i Grandi della Terra, a raccontare la guerra ponendosi dal punto di vista dei bambini, ai quali insegniamo che costruire la pace non è mai semplice, ma si parte sempre dal presupposto che sia possibile risolvere pacificamente le controversie e i conflitti per una coesistenza pacifica, che giova a tutti.
E poi arriva il momento in cui tutto questo sentire non è più vero.
Perché il sole possa continuare a risplendere sulle sciagure umane – scrive Rodari- bisogna riconoscere che la luna di Kiev è bella come quella di Roma, che è sempre la stessa e che i suoi raggi viaggiano senza passaporto.
Ma anche- come prosegue la poesia di Brecht- che…..
C’è un altro gioco
da inventare,
far sorridere il mondo
non farlo piangere.
Pace vuol dire
che non a tutti piace
lo stesso gioco,
che i tuoi giocattoli
piacciono anche
agli altri bimbi
che spesso non ne hanno,
perché ne hai troppi tu;
che i disegni degli altri bambini
non sono dei pasticci;
che la tua mamma
non è solo tua;
che tutti i bambini
sono tuoi amici.
E pace è ancora
non avere fame
non avere freddo
non avere paura. (B. Brecht)
Questo i bambini lo sanno bene, sono i grandi che non lo hanno ancora imparato e forse non lo faranno mai.