E’ troppo facile liquidare come ragazzata o bravata i filmati su alcuni docenti che i ragazzi di una scuola italiana hanno dapprima girato e poi postato in rete, naturalmente per esporre i proff. al pubblico ludibrio sui social.
A scuola si sperimenta quotidianamente la fatica delle regole, che racchiudono rispetto degli altri e riconoscimento dei propri limiti, attraverso la pratica della riflessione e della metacognizione sulle proprie azioni. In questo rigoroso compito dovrebbe esserci d’aiuto la famiglia, magari dispiegando atteggiamenti di condivisione e azioni di collaborazione.
Assistiamo, invece, ad una mutazione antropologica senza precedenti di questa agenzia educativa, sempre più orientata ad arrendersi ai figli, a concedere tutto quello che c’è da offrire, e anche molto di più a costo di sacrifici economici enormi- per timore di sentirsi rifiutati, non amati o anche solo per non meglio specificati o immotivati sensi di colpa.
Diciamocelo senza fronzoli. E’ una società di genitori-bancomat, che amano la comodità del dare senza la fatica del chiedere, genuflessi davanti ai figli, pronti a condonare loro qualsiasi cosa per un po’ di tranquillità!
Ricordiamo che educare significa «accompagnare», voler rischiare di credere nell’altro, non prendendo a tutti i costi le sue difese, per essere esenti da frustrazioni, ma per vivere una reciprocità che in fondo si traduce in:
Fa’ qualcosa per te ed io farò qualcosa per te!
Non dimentichiamo che i ragazzi si aspettano che, se tirano uno schiaffo al prof o se gli nascondono il registro o se postano filmati sui social o se sputano in faccia al compagno, i genitori siano in grado di affrontarli con le frasi più giuste, tipo: “Arrangiati da solo! Non so aiutarti! Prenditi le tue responsabilità!”
Senza assoluzioni di sorta o atteggiamenti difensivi, costi quel che costi.
Solo così si cresce davvero!