Al tempo perso

 

Sei comparso e ricomparso sulla scena senza averla mai abbandonata e, con una potenza devastante inversamente proporzionale alla tua grandezza, sei riuscito ad   inceppare ogni meccanismo degli ingranaggi economici e sociali,  a ribaltare  ritmi ed abitudini  consolidati nel tempo.

E’ successo tutto in un attimo: hai acceso la miccia  della deflagrante bomba  pandemica e hai polverizzato d’un botto  i miti dell’efficienza e del progresso, che vedevano l’umanità  impegnata senza sosta a produrre  per consumare e a consumare per poter continuare a produrre.

Vediamo scorrere sotto gli occhi, per immagini dirette o virtuali, scenari apocalittici di saracinesche serrate da lucchetti dorati, di vetrine luccicanti di assenze e luci spente, di  umani vaganti su isole pedonali  gonfi di  sguardi increduli. Qualcuno,  in solitaria illusione, a piedi o in bici  prova  a percorrere  sentieri  battuti di vita sportiva  nella vana speranza  di riafferrare briciole di  normalità.

Il  tempo libero, sequestrato dalla spietata legge del marketing, già confezionato, ben  infiocchettato e  pronto all’uso, ora soffre di tempo liberato.

Eravamo  diventati  senza accorgercene come quei simpatici  criceti, tanto amati dai bambini.  Abbiamo corso senza un perché  nella ruota della modernità, dentro la gabbia della vita, sempre più veloci  e senza alzare lo sguardo alla via di fuga, che restava comunque aperta.

Ora che non è più  il tempo  dei viaggi, delle palestre,  dei cinema, dei teatri,  delle piscine, dei bar,  delle discoteche, dei  ristoranti, chiusi nei labirinti delle nostre pareti familiari, abbiamo tutto il tempo per interrogare le nostre solitudini di  vite in attesa, prigionieri di una società che ci nega  la sua ossessiva ansia di fare, tanto osannata.

La realtà che non vogliamo riconoscere è che non sappiamo più stare fermi,  non siamo più capaci di  vivere  in maniera lenta e compassata.

Ci hanno fatto intendere che  la vita statica, quella che non doveva differenziare il concetto di tempo, perché  lo viveva  come un continuum, in cui il lavoro sfumava nel riposo e viceversa, quella che dilatava la vita quotidiana su ritmi lenti, ampi, armonici,  biologicamente più giusti, non era ovvia per una società che evolveva in tutt’altra direzione. Nel  rapido fluire verso il  mito del progresso, non poteva più esserci spazio per la riflessione, la pausa, l’ozio laborioso, l’attività fantastica e il divertimento semplice e immediato.

Il marketing più sfrenato ci ha imbrigliato a dovere, proponendoci  stili di vita performanti votati all’ostentazione, all’affermazione ed al successo personale, ci ha  convinti che la felicità, quella per cui lavoriamo come schiavi, senza pensare che ogni oggetto che desideriamo ha un costo, potesse giungere a noi dall’esterno.

E’ stato naturale  allora non chiederci più  quante ore di lavoro sprechiamo  per soddisfare  desideri di cose che realizzano sogni e che, in sostanza, non fanno altro che rubarci il  tempo.

“Un uomo è ricco in proporzione al numero di cose delle quali può fare a meno” scriveva Henry David Thoreau nel  lontano 1854, narrando dei benefici  che si ottengono distaccandosi dalle cose inutili e superflue, auspicando il ritorno ad una filosofia di vita che si fonda sull’essenziale.

Abbiamo una formidabile occasione per riflettere sul senso che hanno preso le nostre esistenze.

Dovremo riabituarci a specchiarci in noi stessi, alla ricerca di ciò che dà valore aggiunto alle vite di tutti, di quella sensazione  di essere davvero importanti per chi ci ruota attorno, di quelle attività che realmente  gratificano l’anima,  di quella percezione delle autentiche necessità, di ciò che è  importante davvero perchè  ci rende felici dentro.

Il tempo perso  non è mai davvero perduto per sempre.A volte possono essere le pause a salvarci.

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