30 dicembre 2018
Atterriamo alle 11:00 del 30 dicembre all’aeroporto Chopin di Varsavia dopo un volo di circa 2 ore da Roma Fiumicino. Il tempo è grigio e una pioggerellina sottile ci accompagnerà per tutto il giorno.
Arriviamo in albergo, che si trova nel cuore del centro storico della città, in una posizione strategica che ci consentirà di muoverci a piedi. Il Sofitel è bellissimo e non delude le aspettative; in attesa delle camere, ne approfittiamo per un primo giro veloce di perlustrazione che ci consente di familiarizzare con questa nuova realtà. Percorriamo la via Reale, visitando -senza saperlo-la chiesa barocca di Santa Croce, che ospita la lapide di Chopin (ed anche il suo cuore, come ci dirà la guida più tardi!).
La leggenda narra che Frederic Chopin sul letto di morte (a Parigi, nel 1849) chiese che il suo cuore fosse separato dal corpo e custodito in Polonia, sua terra natale dalla quale si era separato per un esilio forzato. Dopo che il corpo del pianista fu sepolto a Parigi, il suo cuore è stato protagonista di storie di ogni tipo: si dice sia stato chiuso in un barattolo pieno di cognac per poi essere contrabbandato da sua sorella che, oltrepassando la frontiera russa, lo recapitò infine a Varsavia. Una volta lì, il cuore di Chopin è passato per le mani di diversi suoi parenti (e dei nazisti, che lo custodirono con rispetto durante la seconda guerra mondiale) prima di essere chiuso in una colonna della chiesa barocca di Santa Croce, come la reliquia di un santo, perché per i polacchi le composizioni del pianista rappresentano un simbolo dello spirito nazionale: la sorte dell’organo è strettamente collegata a due secoli di occupazione straniera, di guerra e liberazione.
Pranziamo in una Stickhouse con un conto salatiss
imo (35 € a testa) dopo aver mangiato un ottimo filetto con patate, accompagnato da un generoso boccale di birra!
Alle 15:00 abbiamo appuntamento con Margherita, che ci farà da guida fino alle 19:00, sotto una pioggerella sottile ed incessante! Si comincia dalla immensa piazza della Vittoria, su cui si affaccia l’albergo, dove si tenevano le parate militari ed in cui si trova il monumento al Milite Ignoto, per onorare i soldati che hanno dato la vita per l’indipendenza polacca; è costituito dai tre superstiti archi centrali dell’ex Palazzo Sassone, distrutto alla fine della seconda guerra mondiale. Vi arde la fiamma eterna e la tomba è sorvegliata continuamente dalla Guardia d’Onore dell’Esercito polacco.
Due altri importanti monumenti recenti si trovano qui :
-una scultura nera triangolare in ricordo dell’ incidente dell’aereo presidenziale polacco, occorso il 10 aprile 2010 a un Tupolev dell’aeronautica militare, che precipitò in fase di atterraggio a circa 20 chilometri dalla città russa di Smolensk uccidendo gli 89 passeggeri e i 7 membri dell’equipaggio a bordo. L’aereo stava effettuando un volo di Stato da Varsavia alla base aerea di Smolensk-Severnyj in Russia in occasione della cerimonia del 70º anniversario del massacro di Katyn. Qualcuno allora ipotizzò che si trattasse in realtà di un attentato ed anche oggi questa ipotesi sembra avv
alorata da tante testimonianze.
-la croce , che ricorda il primo pellegrinaggio in Patria di Giovanni Paolo II il 2 giugno 1979.
Ci spostiamo sulla via Reale, che rappresenta il percorso più famoso della città e che collega le tre residenze dei governanti polacchi: il Castello reale, il Parco Reale Lazienki e il Palazzo Villanova. Mentre ci dirigiamo verso il Castello, ci soffermiamo ad osservare dall’esterno le bellissime chiese e le case storiche della città, ma soprattutto le migliaia di luci che illuminano la strada, rendendola magica e dall’atmosfera fatata.
La casa di Chopin ci offre l’occasione per conoscere qualche notizia sulla sua breve vita, di quanto sia amato dai varsaviani , tanto che la città gli rende omaggio con tutta una serie di concerti al Parco Reale Lazienki da maggio a settembre. Ma la cosa più bella sono le panchine musicali, gioielli fantastici, sulle quali sedersi per ascoltare brevi assaggi delle sue composizioni. Una vera chicca!
La pioggia che non dà tregua ci spinge all’interno del Castello, non prima di aver ammirato la colonna del re Sigismondo III Vasa, che fu eretta su iniziativa del re Ladislao IV in onore di suo padre, il quale ebbe il merito di trasferire la capitale della Polonia da Cracovia a Varsavia: è di sicuro un punto di incontro molto amato dai residenti locali.
La bellissima struttura in mattoni rossi del Castello, purtroppo come tutto il resto, non è l’originario palazzo, bensì una copia perfetta di quello originale, bombardato dai nazisti verso la fine della seconda guerra mondiale. La ricostruzione fu finanziata da donazioni private e iniziò solamente all’inizio degli anni settanta. Nel luglio del 1974 fu rimesso in servizio l’orologio della torre, proprio all’ora in cui si era fermato al momento del bombardamento tedesco ed il 1988 ha visto ultimata l’intero Palazzo. La struttura originaria risale al XIV secolo, ma fu sostanzialmente modificata da re Sigismondo III Wasa a partire dal 1596, quando il sovrano portò la sua residenza a Varsavia, città scelta come capitale del regno. I lavori di restauro del castello iniziarono nel 1598 e durarono circa vent’anni e per il progetto furono interpellati alcuni architetti italiani. Si sviluppa intorno ad una grande corte interna a forma di pentagono con due dei lati affacciati sulla piazza del Castello. La guida ci informa che, durante l’assedio tedesco del 1939, le opere d’arte conservate all’interno del castello furono rimosse e nascoste per salvarle dal saccheggio o dalla distruzione. Quando gli ambienti interni furono ricostruiti, completi di tutte le decorazioni, le opere d’arte furono riposizionate nelle loro originali destinazioni. Visitiam
o varie sale degli appartamenti reali, compresa la stanza Canaletto, con splendidi quadri con immagini della città di Varsavia, dipinti da Bernardo Bellotto, nipote del famoso pittore veneziano, grazie ai quali sono stati ricostruiti alla perfezione i palazzi e le chiese dopo la distruzione a seguito dei bombardamenti.
Ci dirigiamo verso Piazza del Mercato, il centro strategico della Città Vecchia. Fino al 1817, quando fu distrutto l’edificio del Municipio, era anche il cuore del potere politico della metropoli polacca.
I palazzi che la circondano, anch’essi ricostruiti dopo i terribili bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale, con il loro gradevole mescolarsi di stili: gotico, rinascimentale, manieristico, barocco, neoclassico conservano alcune tracce delle strutture originarie risalenti al XV secolo e appartenenti alle ricche dimore di
mercanti polacchi.
Al centro è posizionata la fontana monumentale con la Sirena, diventata simbolo della città, intorno alla quale si ammira un’ampia pista di pattinaggio. Luci multicolori e chalet di legno, che vendono cibo e bevande di strada, come il vin brulè aromatizzato alle spezie, la rendono davvero unica col buio, che qui comincia molto presto in questo periodo.
Mentre ci avviamo alla fermata dell’autobus, ci fermiamo ad ammirare il Barbacane, struttura difensiva del XVI secolo a pianta semicircolare, che proteggeva l’accesso alla Città Vecchia (Stare Miasto), protetta dalle mura, dalla parte della Città Nuova. Era un bastione semicircolare a tre livelli, dotato di quattro torri semicircolari e con feritoie per i fucilieri, esteso al di fuori delle mura per 30 m, largo 14 m e alto 15 m dal fondo del fossato che circondava le fortificazioni.
Quasi immediatamente dopo la sua realizzazione divenne inutile per il rapido sviluppo dell’artiglieria. Venne utilizzato a difesa della città solo durante l’invasione svedese (“Diluvio“) del 1656, quando il re Giovanni II Casimiro Wasa fu costretto a riprenderlo agli Svedesi che lo avevano inizialmente conquistato.
Nel XVIII secolo fu parzialmente smantellato, per fornire un accesso più ampio alla città e nel XIX secolo alcuni suoi resti vennero inglobati in un palazzo.
Durante la seconda guerra mondiale i resti del Barbacane furono distrutti e vennero nuovamente ricostruiti tra il 1952 e il 1954, sulla base di schizzi del XVII secolo: il governo aveva infatti deciso che risultava meno costoso ricostruire la fortificazione come luogo di attrazione per i turisti, piuttosto che costruirvi case ed appartamenti.
Ci spostiamo, con l’autobus 180, verso il quartiere ebraico, il tristemente famoso ghetto di Varsavia. La zona è poco illuminata e, insieme al buio ed alla pioggia, ci mette angoscia, mentre la guida ci fornisce notizie: istituito dal regime nazista il 16 ottobre 1940 nella città vecchia di Varsavia, occupava uno spazio di quattro chilometri di lunghezza e circa due e mezzo di larghezza e, con i suoi 450.000-500.000 abitanti, è stato il più grande tra i ghetti nazisti in Europa. Inizialmente funzionò come campo di quarantena e successivamente, con un’ordinanza emanata il 2 novembre 1940 dal governatore del d
istretto di Varsavia, venne motivata la sua creazione allo scopo di evitare il pericolo di epidemie. Nella Polonia occupata dai nazisti, le restrizioni alla vita della popolazione ebraica del ghetto non si limitavano alla residenza coatta all’interno dello spazio circondato dal muro: le comunicazioni postali furono proibite, le linee telefoniche e tranviarie furono interrotte e all’interno del ghetto era consentita solo una linea di tram a cavalli, contrassegnata dalla stella di David, non vi erano aree verdi ed il gas e la luce elettrica spesso mancavano. Le razioni alimentari furono ridotte al minimo, ad ogni persona ebrea spettavano solo 184 calorie al giorno. Le terribili condizioni di vita, unite al tifo che iniziò lentamente a diffondersi, contribuirono a decimare progressivamente la popolazione .
Queste ultime continuarono a peggiorare all’inizio del 1941: lo spazio a disposizione dei residenti fu ulteriormente ridotto e la media di mortalità per fame, malattie e maltrattamenti crebbe in maniera esponenziale, tanto che, prima dell’arrivo dell’estate, si registrò una media di 2.000 decessi al mese.
Circa 100.000 persone morirono di stenti o di malattia nel ghetto prima che le deportazioni di massa iniziassero nell’estate del 1942. Tra i 250.000 e i 300.000 abitanti del Ghetto di Varsavia furono assassinati a Treblinka tra il 23 luglio e il 21 settembre del 1942. Per otto settimane, le deportazioni continuarono al ritmo di due treni al giorno, ciascuno dei quali trasportava dalle 4.000 alle 7.000 persone. Le vittime erano soffocate in gruppi di 200 persone con l’uso del monossido di carbonio.
Ci fermiamo davanti al Museo dell’olocausto, per osservare il monumento dedicato agli eroi morti durante l’insurrezione del ghetto del 1943. Quest’area, ornata da alberi, soprattutto d’estate è molto frequentata da gente che passeggia e che si rilassa ed è quindi strano pensare che qui si sia consumata una delle più feroci tragedie della storia umana. La parte occidentale del monumento è chiamata “the fight”, il combattimento, e raffigura uomini, donne, bambini con in mano granate e bottiglie di petrolio. L’altro lato dello stesso monumento, chiamato “March to destruction” mostra la sofferenza e il martirio di donne e bambini innocenti.
Nel monumento figura poi un’altra iscrizione con la dedica: “The Jewish People in honour of its fighters and martyrs”(il popolo ebreo in onore dei suoi combattenti e dei suoi martiri).
La visita si conclude qui. Rientriamo in albergo in autobus. Cena al ristorante Ceprownia, dove degustiamo pietanze tipiche della cucina polacca. I pierogi sono molto buoni, così come la carne e le zuppe. Prezzo stavolta congruo.