La 600 D

Rivederti è stato un colpo al cuore. Succede tutto per caso o forse no. In viaggio nel giorno in cui la  Pasqua si riconverte in Pasquetta, seduta in auto, rilassata dai primi raggi di sole che fendono il parabrezza e mi scaldano corpo ed anima, gli occhi puntano la targa davanti a me. BN 20024. Non ci posso credere! Sei proprio tu, non posso sbagliarmi! Ricordo troppo bene quei numeri, ora che la terza età sta vivificando di nostalgia i ricordi più lontani, che diventano  per questo sempre  più nitidi. Sei proprio tu, pur se brilli al sole di aprile di un colore simil-autentico-rifatto. Quel grigio topo tanto criticato da mia madre, quando ti vide per la prima volta nella concessionaria Zoppoli, oltre mezzo secolo fa. Ma mio padre, come d’altronde  faceva sempre, decise che andava bene quel colore lì. E così, entrasti a far parte della nostra famiglia, nei favolosi  anni sessanta, quelli del boom economico dell’Italia, subito dopo esserci trasferiti nella nuova casa di via Puglia.  Benedetta da tutti, perché ci portavi  bellezza e comodità,  e fin da subito amata. Certo, in quattro –dietro- ci stavamo un po’ stretti, ma io ero ancora piccola e,  dunque,  potevo stare sulle gambe degli altri. Eravamo fieri di te, del tuo essere “utilitaria”. Ultima di quattro figli, sono stata quella che ti ha usata di più: fino a 18 anni da semplice passeggera e poi da autista provetta.  Ricordo ancora tutte le volte in cui salivo dal lato guida, eccitata ed impaurita. Mio padre, sul sedile accanto, con la sua  rude scorza  da capo, sempre  pronto al comando e a proferire direttive, aveva deciso di impartirmi  le prime rudimentali lezioni di  guida, un misto di teoria e pratica, mentre io, con immensa soggezione, tentavo di ricordare ogni indicazione,  per non sfigurare ai suoi occhi, ma soprattutto per evitare di ricevere “lavate di testa”, che avrebbero umiliato il mio orgoglio.

Lui era fatto così, non ammetteva che si potesse sbagliare! Bisognava imparare dalle sue verità, dalla sua severità, dai suoi sermoni. E a me, che piaceva essere lodata per aver fatto bene, non restava che essere attenta e disciplinata. Presi la patente a due mesi dal compimento del diciottesimo compleanno. Era il novembre del 1973. E da allora respirai l’aria della libertà, grazie a te, che eri sempre lì, pronta a lasciarti guidare.   Le prime due sorelle erano già andate spose nel fiore degli anni, mio fratello aveva preso il volo per Napoli, dove studiava medicina. Io, da pendolare, per frequentare il suor Orsola a Napoli, mi  sottoponevo a  estenuanti ore di viaggio. Ma tu c’eri sempre, al mattino presto, ad accompagnarmi al treno che, come una via crucis, si fermava sferragliando ad ogni stazione con uno stridio di freni, che feriva le mie orecchie e scuoteva la mente ancora intorpidita dal sonno. Da quando, nel 1972, era arrivata la  Fiat 127 bianca per mio fratello, diventasti quasi tutta mia.

Ricordi impressi nel cuore, come quando si partiva per Molinara. Era per me una gioia tornare nei luoghi che avevano visto  nascere  e crescere mio padre, dove viveva ancora la sorella, in un antico casolare  di pietra a due piani, poco distante dal paese. C’era ancora  la stalla e da lì riusciva a penetrare  nella cucina adiacente quell’odore acre e pungente che ti entrava nelle narici ad ogni respiro, mentre gustavi il ragù coi maltagliati, fatto con carni  allevate a pochi metri di distanza. Aspettavamo tutti  la festa di San Rocco per incontrare parenti e conoscenti, sedersi a chiacchierare davanti ad un bicchiere di buon vino sgranocchiando noccioline. Per me gelato e caramelle a volontà, in un  paese che si animava di luci, gente e colori e si stringeva intorno al suo Santo patrono, San Rocco, a testimoniare un’appartenenza e un ritorno alla propria “terra” per quanti- la maggioranza- erano stato costretti a partire in cerca di fortuna. E mio padre tra questi era stato più fortunato dei suoi fratelli. Lui il lavoro e l’amore li aveva trovati  a pochi chilometri da casa; alcuni suoi fratelli ed una sorella erano già partiti ed altri ancora sarebbero partiti per “l’America “ di lì a poco.

Non hai mai fatto lunghi viaggi, cara mia 600 D.  Ci portavi  a Telese per godere del refrigerio delle Terme come sollievo alla calura estiva. Sento ancora dentro il rumore della ghiaia dei viali  che scricchiolava sotto il peso delle ruote che cercavano posto al fresco per il parcheggio. Arrivavamo di primo mattino col cofano pieno di cesti per il pic-nic e soprattutto l’anguria da coricare nelle acque gelate del Cerro prima di sederci a mangiare sotto gli alberi, dopo  la mattinata trascorsa  ai Goccioloni, la piscina termale dove facevamo il bagno nell’acqua gelida e tonificante, dimenandoci su uno scomodo fondo di sassi levigati.

Al massimo sei arrivata a Scauri, la nostra meta estiva delle vacanze.  Ma come non ringraziare il Signore e, soprattutto, i sacrifici per averti, perché, prima di te, al mare si ci andava in treno! Sai, avevamo i biglietti gratuiti che le Ferrovie dello Stato ci mettevano a disposizione. E così, mio padre ci buttava dal letto di buon mattino.  Partenza alle 5 e 50 dalla stazione di Ponte, con un treno locale lento ed affollato, con i suoi duri sedili in legno, per arrivare a Scauri dopo circa due ore. Salivamo sull’autobus in direzione spiaggia, verso il  Lido Italia che aveva una convenzione speciale  con le F.S., raggiungevamo  la nostra cabina, pronti per trascorrere la giornata al mare, che, però, terminava molto presto, perché bisognava fare il tragitto al contrario e tornare casa intorno alle otto di sera. E poi ripartire il giorno dopo. Esperienza faticosa secondo i canoni odierni, ma per me mai monotona, perché si viaggiava in compagnia di altre persone e, mentre il tempo trascorreva  ridendo e scherzando, aprivo la mente a nuove esperienze, allargavo il mio piccolo orizzonte di crescita  e  imparavo a vivere.

Poi, cara 600 D, ci siamo lasciate, quando io sono partita sposa. Tu sei rimasta lì dov’eri, a disposizione di chi rimaneva. Col trascorrere degli anni, hai persino cambiato look, quando papà non ti ha potuto più usare ed ha passato il testimone  a  figli e nipoti. Alla fine, anche tu hai dovuto cambiare casa, sostituita per un’auto più dinamica, scattante e comoda. Ma devi sapere che non si possono sostituire i ricordi, quelli ti restano  dentro. Dunque,  tu continuerai a viaggiare  con me ed io con te, crogiolandomi nella nostalgia di un tempo andato via troppo in fretta.

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