«Il grande amore nasce dalla gran cognizione della cosa che si ama et se tu non la cognoscerai poco o nulla la potrai amare» (Leonardo da Vinci, Libro di Pittura, capitolo 77).
16 ottobre 2024 ore 12:30 siamo all’ingresso del Cenacolo sotto una pioggia battente che colora di grigio il cielo di Milano. Come se non bastasse la nebbia! Inganniamo l’attesa osservando la facciata della Chiesa attigua al Museo e i visitatori che, come noi, si affannano a ripararsi alla meglio da Giove pluvio. Sale l’emozione quando finalmente l’apertura delle salvifiche porte automatiche ci introduce nell’atrio. Ascoltiamo la voce amica della guida dalle cuffie: dalle sue preziose informazioni preliminari apprendiamo che potremo restare solo 15 minuti!
Ci siamo.
Eccoci, finalmente, nel refettorio dei frati domenicani e lì, sulla parete alla nostra destra, ci ritroviamo davanti al dipinto. Seduta su una panca posizionata a debita distanza in quanto punto ottimale di osservazione, mi appare nella sua splendida maestosità.
La guida ci parla nelle cuffie: “…. il tema dell’ultima cena è stato trattato tantissime volte dagli artisti del Quattrocento, ma nessuno di essi aveva mai osato cambiarne l’iconografia. Tutti, prima del genio Leonardo, avevano dipinto il Cristo nell’atto d’istituire il sacramento dell’Eucarestia. Leonardo fa altro: non vuole rappresentare un fatto di fede, ma umano. Quando annuncia: “Uno di voi mi tradirà” la frase di Gesù si propaga da un capo all’altro del tavolo e genera sconvolgimento tra i suoi discepoli- alla stregua di un vortice improvviso- che li destabilizza sia nel corpo che negli atteggiamenti e nel volto. La figura del Redentore resta immobile al centro del tavolo quasi in solitudine, mentre, eliminato il simbolo divino dell’aureola , possiamo scoprire un cielo chiaro sulla sua testa che sovrasta le ondulate colline visibili al di là delle tre aperture in fondo all’ampia sala costruita con rigore prospettico, il cui punto di vista coincide proprio con il volto di Cristo….
Leonardo possiede profonde conoscenze di fisiognomica ed anatomia, grazie alle quali riesce a dipingere e a comunicare la reazione emotiva istantanea degli apostoli all’annuncio fatto da Cristo del tradimento di uno di loro, facendolo esplodere in tutta la sua potenza drammatica nelle espressioni facciali, così come nelle posizioni delle mani e del corpo di ogni discepolo. Questo uso del pathos è rivoluzionario perché crea un legame empatico tra chi osserva e i personaggi. Chiunque si soffermi ad osservare l’opera ne coglie a pieno tutta l’intensità emotiva, un misto di meraviglia, incredulità, paura e turbamenti.
Bartolomeo, il primo a sinistra, balza in piedi e si protende verso Cristo, poggiando entrambe le mani sul tavolo. Anche Giacomo e Andrea si alzano. Giuda, in uno scatto nervoso, si gira per guardare Gesù ed appoggia il gomito destro sul tavolo mentre rovescia all’indietro il suo busto, quasi a volersi ritrarre nell’ombra, con un’espressione di tensione e sospetto, riflettendo la colpa e la consapevolezza della sua azione imminente.
Pietro è pronto a difendere Gesù, con un gesto impulsivo e pieno di determinazione; porta il volto vicino a Giovanni che, chino verso di lui, raccoglie la richiesta che gli viene sussurrata con uno sguardo malinconico ed basso, quasi un riflesso di dolore intimo e di accettazione. Giacomo è inorridito, con le braccia allargate sembra trattenere sia Tommaso, che ha un dito rivolto verso l’alto, sia Filippo. Matteo, Taddeo e Simone, invece, discutono tra loro concludendo e spegnendo la violenza dei sentimenti accesi dalle parole di Cristo e manifestatesi a partire da sinistra, col gesto prepotente di Bartolomeo.
E’ un vero e proprio quadro vivente, in cui ciascun personaggio offre la propria dinamicità, in un delicato gioco di colori sfumati e graduati che eliminano i contorni netti tra le figure e lo sfondo, dando corpo ad un’unica atmosfera cromatica e chiaroscurale.
Al centro della composizione, la figura di Gesù, con un’espressione pacata e rassegnata, al di sopra delle reazioni terrene degli altri apostoli, dona serenità al quadro. La sua postura equilibrata e la simmetria del suo corpo rispetto agli altri personaggi esprimono forza interiore e calma spirituale, in netto contrasto con l’agitazione circostante.
Questo ethos è rinforzato dalla composizione geometrica dell’opera: Gesù è collocato volutamente al centro della scena, un punto focale che conferisce stabilità all’intera rappresentazione. La sua posizione centrale e l’uso della prospettiva conducono a Lui, sottolineandone con forza la sua autorità morale e spirituale.
L’equilibrio tra pathos ed ethos dà vita ad una narrazione visiva straordinaria: le reazioni emotive degli apostoli fanno da contraltare alla serenità di Gesù, che appare consapevole del destino che lo attende.
Leonardo riesce a trasformare la scena in un racconto complesso, capace di comunicare sia il dramma umano sia la profondità spirituale, esprimendo una gamma completa di emozioni umane e valori trascendenti.
Questa fusione di ethos e pathos rende il Cenacolo un’opera senza precedenti, dove la complessità psicologica dei personaggi è studiata in ogni dettaglio per offrire uno spaccato emozionale e spirituale che rende la scena universale e intramontabile, dando il senso di un’unica armoniosa narrazione.
Il Cristo con le braccia distese, il capo reclinato, gli occhi socchiusi e la bocca appena discostata, come se avesse appena finito di pronunciare la fatidica frase ci appare come una figura divina, potente e mite , ma anche umana nella sua solitudine, mentre si erge ad agnello sacrificale, che offre la sua vita per la remissione dei peccati dell’umanità.
Un’esperienza emozionale unica ed irripetibile da custodire gelosamente!