I nonni non vengono oggi?
Papà, ma mamma dov’è andata? L’ho vista uscire di fretta con una maschera sul viso e i guanti alle mani, mi ha dato un bacio e mi ha detto di non aspettarla per pranzo!
Sei lì, davanti ad un vetro che divide anime che soffrono, mentre le labbra accennano quell’ultimo bacio e le mani un gesto di saluto. Entrambi faticano ad arrivare a destinazione, al di là del vetro, a chi neanche può girare lo sguardo verso di te mentre cerchi disperatamente di catturare i suoi occhi chiusi. Un dannato casco di plexiglass e un respiratore asettico vi dividono ma, ancor prima di questi strumenti di cura, lo ha fatto un organismo vivente subdolo ed impercettibile. Vorresti tanto poter riversare in quei semplici gesti tutto lo smisurato amore che provi e che riaffiora prepotente coi ricordi più belli, ma lo sgomento vince su tutto. Se solo riuscisse a vederti dalla sua percettibile fragilità e capire che ci sei!
E continui a guardare oltre la barriera trasparente con infinita tenerezza, in attesa di un gesto rassicurante che allontani l’angoscia e la disillusione. Quando sarà “quel momento” sai che non potrai esserci. Vorresti cacciare via i brutti pensieri, ma non ce la fai. Provi ad immaginare ciò che sarà, nella certezza che andrà via un pezzo di te, un pezzo della tua vita e della tua storia, un baule di saggezza, un patrimonio di esperienze affettive e sentimentali.
Come dirai ai tuoi figli e ai tuoi nipoti “che non c’è più”, ora che un destino crudele ed inumano ha cancellato anche la dimensione simbolica del funerale, quel rito consolatorio che umanizza la morte ed unisce in un abbraccio le vite di chi resta?
Non è soltanto un bollettino di guerra ciò che ascolti ogni giorno in collegamento e che parla di morti come se fossero solo numeri e statistiche. E’ il tuo vuoto cosmico, fatto di memoria e di tempo, che la generazione over 80 lascia in eredità a chi rimane. E tu già cominci a percepirne la presenza.
Chi potrà raccontare d’ora in avanti la fiaba della vita, che poi fiaba non è affatto, perché non c’è il lieto fine?
Provi a farlo tu.
Conosco il bambino uscito indenne dalla guerra, che ha giocato sulle macerie della ricostruzione, ancora troppo piccolo per capire di ideali da realizzare e la bambina per la quale il pensiero più importante era avere da mangiare di giorno e cercare un rifugio di notte, quando chiedeva, col gelo nel cuore, suona o non suona stasera la sirena?, ancora troppo piccola per capire di prospettive da cambiare.
Conosco il ragazzo del boom economico, della contestazione studentesca, della Tv con un solo canale, della Fiat 600 per tutti, pronto a diventare il protagonista instancabile del cambiamento rapido e tumultuoso di quegli anni favolosi, che era lì a portata di mano e la ragazza del voto alle donne, dell’emancipazione femminile, della minigonna e dei pantaloni a zampa, dell’accesso all’Università, delle battaglie civili e dei diritti da conquistare nelle piazze.
Conosco il padre che portava al mare la famiglia, quando chiudevano le fabbriche a Ferragosto, con l’auto comprata a cambiali, con il portapacchi sul tettuccio pieno di viveri, con le sdraio e l’ombrellone, il tavolino e le sedie pieghevoli, le paste al forno, i contenitori frigo e il caffè nel thermos, felice delle conquiste raggiunte a forza di muscoli e cervello, e la madre che cresceva i figli, abituata a considerare i bisogni primari come obiettivi principali da realizzare, che governava l’economia domestica, che decideva cosa comprare e faceva i conti della serva ogni giorno per far quadrare il bilancio familiare e coi risparmi accantonati permettersi la lavatrice ed il frigorifero.
Conosco maestranze di un’Italia che ha visto raddoppiare il reddito e i consumi, cancellato l’analfabetismo con la scolarizzazione di massa, conquistato diritti, assicurato benessere e tempo libero, libertà e democrazia.
Conosco anziani abituati all’uso di un linguaggio arcaico, coniugare verbi al passato, quegli stessi che la modernità preferisce usarli al tempo futuro, resettando quel presente che li considera come un costo per la collettività.
Questi giovani che furono hanno dovuto chiudere in solitudine la porta di una stanza d’ospedale, di una RSA, di una casa di riposo, che mancava d’aria, di sollievo, di baci e di carezze e camminare verso l’eternità vestiti di una candida veste, come vuoti a perdere, senza un’altra possibilità.
Assisti attonita ed impotente alla resa dei tuoi narratori del tempo andato, che hanno saputo raccontare storie di rispetto, di sacrificio, di attesa e di speranza, di tenerezza e di amore incondizionato, di sorrisi e di affetto, con la presenza assidua nei nostri giorni, l’ ultima generazione a conoscere la fame e la prima a veder crescere i suoi figli nell’abbondanza, votata all’etica del lavoro e del sacrificio, con l’unico grande desiderio di riscatto per sé e per il proprio Paese.
L’ultimo bacio è per voi, la parte migliore di noi.