17 marzo 2020
E’ solo l’ottavo giorno, e dovranno passarne due volte tanto, perché il cuore possa ricominciare a introdurre gioia dentro di noi e scacciare la paura e l’angoscia di oggi.
Siamo in un tempo sospeso, in stand-by, come un vinile bloccato da una puntina spuntata che ripete ininterrottamente lo stesso ritornello.
Viviamo, per interposta wi-fi, esistenze surrogate per annientare, insieme al virus con la corona, la monotonia e la solitudine di un tempo, che proprio non vuol saperne di passare.
Abbiamo steso ad asciugare le nostre vite recluse sul filo di una lunga attesa, perché con lo sguardo al cielo, ne potessimo ricordare i momenti più belli.
Oggi non è tempo per l’incontro, ma per riflettere e provare a stare bene per recuperare quella forza dell’abbraccio e quel piacere della risata spensierata con gli amici, ormai solo un ricordo, rintanati e repressi in casa come siamo da giorni.
Seppur sazi di cibo, unico elemento consolatorio, la mensa ci appare vuota ed il focolare spento.
Ora, nel chiuso transito casalingo, ogni cuore sta provando ad ascoltare il suo cuore, lì dove nasce ogni pensiero, ogni desiderio, ogni attesa, in silenzio.
Anche l’amicizia, pressocché virtuale, si è ammalata e soffre,
come un campo incolto ed arido, lasciato senza semina, senza cura, senz’anima.
Ci sentiamo affamati –più che mai- di presenze rassicuranti, di rituali persi, di frenetica positività.
I nostri giorni fotocopiati, lenti e monotoni, anelano
alla solitudine sconfitta,
al tempo utile,
allo spazio fertile,
all’allegria condivisa.