Sulmona-Roccaraso: la Transiberiana d’Italia

E’ sabato e l’Abruzzo con il suo Parco Nazionale della Maiella ci accoglie in un freddo pomeriggio di tardo autunno. Siamo qui per vivere l’esperienza della Transiberiana d’Italia, un’ escursione su una ferrovia tortuosa che attraversa valli, montagne e gole profonde, partendo dai 328 metri della ridente cittadina di Sulmona, patria di cultura e di dolcezze, per arrivare alla quota più alta dello stivale raggiunta da una ferrovia,  a 1268 metri di altitudine. Si tratta-scrive il sito web dedicato- di un viaggio nel passato su un museo dinamico a bassa velocità che, attraverso un tracciato spettacolare, percorre centri abitati, altipiani carsici, cime innevate, dando l’impressione di vivere in un documentario, mentre le immagini scorrono attraverso i finestrini del treno.

Saliamo alle 8:00 di domenica mattina alla stazione di Sulmona a bordo di un convoglio storico con 4 carrozze Centoporte, trainato da un locomotore diesel degli anni’30. L’arredamento è quello tipico verde-marrone con i sedili tutti in legno che ci riporta indietro negli anni, immergendoci  nell’atmosfera di quando adolescenti  salivamo su di un treno simile direzione Benevento per andare alla scuola superiore o giovani di belle speranze per frequentare l’Università a Napoli. Oggi questa tratta, tagliata come un ramo secco  perché snobbata dai mezzi veloci voluti dalla frettolosa modernità, viene vivificata grazie all’Associazione Le Rotaie che si adopera per non farla morire definitivamente.

Salire a bordo, a causa di predellini molto alti, è già un’impresa! Andiamo alla ricerca dei posti assegnati nella carrozza 4. Il treno comincia ad affollarsi mentre il riscaldamento va a manetta. La foto di rito prima della partenza non può mancare. Il treno va, dopo la paletta verde alzata ed il fischio del capostazione come ai vecchi tempi.  Il mattino è freddo, ma la giornata promette sole e bel tempo. Peccato, avremmo preferito un paesaggio innevato, di sicuro più suggestivo.

Tra accelerazioni e rallentamenti fatichiamo a godere del  panorama perché i finestrini  sono annebbiati dall’escursione termica. Ogni tanto dobbiamo pulirli con la mano e, come ricompensa, la ritrovata visibilità ci propone scenari da cartolina.  Un fischio prepotente ci annuncia  che stiamo per entrare in una delle tante gallerie, segno di un territorio impervio strappato con fatica alla natura. Il treno vi  si infila quasi chinando la testa.

 

 I caparbi raggi del sole trafiggono faggeti dagli esemplari  plurisecolari con chioma a forma di candelabro ed altri dal fusto alto e diritti come ceri ed illuminano spianate e montagne, lasciandoci a tu per tu con una natura che appare ancora incontaminata e selvaggia. Ogni volta che esci dalle tantissime gallerie, il mondo ti si ripresenta identico, eppur ti coglie sempre la sorpresa della luce improvvisa. Gli ultimi colori dell’autunno inoltrato crepitano sulle spianate e sui fianchi delle montagne. Verdi, gialli, aranci, marroni. Tutto è luminoso.  Le vette imbiancate  sono presenze  costanti, quasi protettive. Il treno continua ad inerpicarsi ed attraversa trincee  ad archi aperte al di qua e al di là dei binari. Cerchi di carpire qualche scorcio panoramico ma inutilmente:  un senso di vertigine entra nella testa e  costringe a levare lo sguardo.  I binari, le traversine in legno, la lucente massicciata di ghiaia e pietrisco ci conducono tra rocce,  valloni isolati  e altipiani di pascoli. Dal finestrino, in lontananza sembra brillare uno specchio d’acqua, ma è solo un’illusione ottica. Appollaiati alla base della Maiella si scorgono  le case di Pettorano sul Gizio e, mentre il treno continua a correre come preso da un anelito verso Cansano, quelle di Palena. Le stazioni sembrano approdi desolati, vedove dell’umanità che ha fretta di partire ed arrivare.

Stiamo per raggiungere una delle stazioni ferroviarie più alte d’Italia. Andiamo verso il Monte Calvario e scorgiamo da lontano  Rivisondoli e Pescocostanzo. Siamo a oltre mille  metri di altezza. Roccaraso è la nostra meta, dove scendiamo accolti dalla banda dei Babbi Natale per la visita alla cittadina sciistica e per il pranzo.

Quando risaliamo a bordo, nel tardo pomeriggio, il treno sembra trovare sollievo nella discesa verso Campo di Giove. La giornata lentamente sta consumando la sua luce, ma  ha ancora  la forza di tenere accesi  pensieri ed emozioni che il panorama  ci restituisce a piene mani. Il paesino ci accoglie con la banda dei Babbi Natale, la cui melodica armonia  risuonerà in ogni angolo dei curatissimi mercatini, ricreando la familiare atmosfera natalizia.

Ci incamminiamo al treno. Il sole è calato dietro i monti e il paesino aggrappato alla schiena dell’Appennino è quasi buio, rischiarato solo dalle fioche luci natalizie e dalle scie di fari delle poche vetture in transito. Così, nell’oscurità limpida della sera, il percorso ferroviario  del rientro ci appare come un discorso le cui uniche parole sono date dal chiarore limpido cielo. Tutto il resto sparisce. Dopo tutti quei colori, dopo tutte quelle valli e queste vette, tutto sembra essersi dissolto con lo svanire del giorno. Quando si intravedono le luci della stazione di Sulmona, ultimo faro luminoso di questo mare oscuro, approdiamo al nostro porto finale mentre l’oscurità della notte ha ormai coperto con una coltre di emozioni e di ricordi la giornata appena trascorsa.

Non c’è che dire. Stanchi ma soddisfatti.

 

 

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