E’ autunno da oltre 20 giorni, ma lo capiamo soltanto dalla nebbia mattutina che repentina appare e scompare lungo il tragitto in auto che ci porta verso Pratella, nonché dall’aria frizzantina che riesce a vanificare ancora per poco il tepore dei raggi del sole che splende nel cielo terso e limpido. Giornata ideale per l’escursione programmata alle gole del Lete ed alla cipresseta di Fonte Greca.
Non siamo diretti alla foresta del Paradiso Terrestre: il Lete non è quel rio dalle picciole onde, dall’acqua dotata di una trasparenza fuori del naturale, dalle rive coperte di piante e fiori, non è quel fiume dell’oblio che, per Dante come per tanti altri, nell’antichità, riesce a cancellare definitivamente qualsiasi ricordo e qualunque traccia di peccato, quello che andremo a conoscere tra un po’ con le guide.
Siamo in provincia di Caserta, dove questo fiume riaffiora da Letino, dal massiccio del Matese dal quale sorge, quello- per capirci- che la stragrande maggioranza dei telespettatori conosce come pubblicità dell’omonima acqua minerale, la cui particella di sodio con volto, occhi, sorriso e mani con grande espressività racconta la sua avventura di dispersa nell’ acqua.come un vero e proprio entertainment. Lo spot ha una sua ragion d’essere: il fiume Lete, conosciuto e sfruttato per il commercio dell’acqua già dall’800 per le sue proprietà effervescenti, in qualche modo rimanda al mondo nascosto, in quanto, muovendosi su di un terreno carsico, scorre per buona parte in cavità sotterranee.
Ci incamminiamo lungo i bordi del letto del fiume, risalendolo tra sentieri ombrosi e prati di un verde mai sbiadito, a cui il rosa dei ciclamini selvatici aggiunge pennellate di ineguagliabile bellezza. E’ come camminare su un morbido tappeto, che alleggerisce i nostri passi incerti e scivolosi di pantani e pozzanghere. Ogni tanto una voce accudiente ci invita a stare attenti ai pericoli: nessuno di noi è Dante, ma abbiamo-come il Sommo Poeta- due guide attente all’incolumità del gruppo, soprattutto quando si tratta di attraversare incerte passerelle di legno e sentieri impervi di rocce e rovi. Mi sento davvero protetta dal bastone da camminata che Diego, il micologo-guida ha voluto offrirmi, dopo avermi ben osservata. Avrà pensato tra sé, a ragione, avendo cura di non dirmelo: “A lei serve di sicuro più che a me!” . Infatti è stata davvero una buona intuizione poiché procedo spedita e sicura manovrando all’occorrenza la terza gamba.
Lo spettacolo è davvero unico: il fiume scorre tra anse che scendono sinuose, una fitta vegetazione nasconde il sole e fa filtrare solo timidi raggi. Facendo attenzione a dove metto i piedi, osservo tutto ciò che il sottobosco mi restituisce alla vista: prevalgono le felci, ma anche pungitopi e colonie di funghi di specie diverse.
Spingendoci verso la gola del Cauto, alla nostra sinistra appare un edificio in disuso: la guida Raffaele ci parla di una cartiera che ha funzionato fino agli anni sessanta. All’interno sono ancora ben visibili i macchinari che producevano cartapaglia, ricavata da un impasto di paglia, acqua bollita e latte di calce, pressata attraverso specifici rulli e lasciato asciugar all’aria su reti metalliche.
Poco più su, il punto più impervio: c’è da camminare sui sassi per raggiungere le prime (ed uniche, per noi escursionisti della domenica!) gole del Lete e poter ammirare le cascate. Nella grotta, con molta attenzione ed appoggiandomi alla roccia, alzo lo sguardo per ammirare le stalattiti, vere e proprie opere d’arte create dall’acqua. Oltrepassata la grotta si apre un scenario incantevole: due bellissime cascate danzano rumoreggiando e spumeggiando davanti a noi.
Gli sguardi emozionati di tutti gli escursionisti durano un attimo; ritrovata la stabilità sulla terraferma ognuno cerca il punto migliore per immortalare lo spettacolo naturale e farsi immortalare in un fermo immagine in modo da testimoniare l’esperienza vissuta. Telefoni vanno e vengono, come passaggi di testimone, durante una staffetta. Poi me la mandi? è il mantra che sento ripetere fino a quando le guide ci impongono il rientro, dato che c’è un altro gruppo in attesa. Si rifà lo stesso percorso, ma con minore timore; si sa, il noto rende meno ansiosi dell’ignoto. Nel percorso di rientro, il sole fa capolino dal monte e comincia ad asciugare l’umido dei nostri indumenti e dei capelli, regalandoci ebbrezza e calda allegria mentre torniamo al punto di partenza.
Dopo un breve ristoro, si parte alla volta del borgo medievale di Prata Sannita che, dall’alto dei suoi 400 metri ci rivela, in tutta la sua bellezza, il dominio sulla valle.
Parcheggiamo vicino al Castello Pandone, risalente al XIV secolo e frutto dell’architettura angioina. Ci inoltriamo a piedi nel borgo
che ci accoglie con scorci mozzafiato, dai quali ammiriamo dall’alto un antico mulino ad acqua ed il ponte romano a schiena d’asino che consentiva il transito sul fiume Lete ai viaggiatori.
Ci rimettiamo in auto per dirigerci verso Fontegreca, dove visitiamo il Bosco degli Zappini, comunemente detto anche Cipresseta: 70 ettari di bosco con alberi vecchi anche oltre 500 anni. La formazione forestale è assolutamente atipica, caratterizzata per il 90% da un ecotipo di cipresso della varietà horizontalis, tra i pochi resistere a una malattia, il cancro della corteccia, che ha messo a rischio la sopravvivenza di questi alberi un po’ speciali, molto cipressi ma anche un po’abeti per la forma anomala che assumono qui.
Il Bosco degli Zappini, a destra del Sava che in questo tratto attraversa una gola di natura calcarea dai ripidi profili, si afferma a quota 400 come una cipresseta pura. La sua rapida diffusione a scapito del preesistente ceduo di cerro, leccio e orniello determina l’esclusiva peculiarità di questa foresta. Anche questo è un luogo dal fascino magico, in cui giochi di luce ed ombra si alternano a giochi di acqua del fiume Sava e a vasche naturali.
In una grotta situata nel cuore della cipresseta si narra che due giovani pastori abbiano trovato la stata della Madonna, che si trova nel Santuario all’ingresso del bosco. Oggi non è visitabile perché in restauro. La visita finisce qui ma la guida ci accompagna al ristorante Le fontanelle, dove abbiamo prenotato il pranzo. Mangiamo “da Dio” ad un prezzo stracciato, coccolati da una cucina tipica e gustosa, dagli ingredienti a km zero tipici del posto e dall’accoglienza gentile e semplice dei proprietari.
Finiamo in bellezza con un salto a Letino, il borgo del fiume Lete, con il suo bacino artificiale e un contesto naturalistico di tutto rispetto e, sulla strada del ritorno, incrociamo il lago Matese in tutto il suo splendore, incastonato tra le montagne.
Giriamo il mondo e riscopriamo la bellezza a due passi da casa.