Timorosi di perdere tutto quello che accade fuori dal nostro vissuto concreto, ormai schiavi del magico mondo virtuale, abbiamo bisogno di rimanere wired in ogni istante. Ognuno digita e sbircia dove può e appena può, con una maleducazione sempre più dilagante, nella totale incapacità di coltivare rapporti umani autentici, inappetente alla fisicità del dialogo, fatto di bocche che si parlano, di sguardi che si incrociano e di attenzione a chi ci sta di fronte.
L’interesse è qui, ma anche altrove, in un rapporto incessantemente disturbato da un’occhiata allo schermo o da una vibrazione, che segnalano l’arrivo di un messaggio in tempo reale.
Siamo qui, ma anche altrove… dimensione in cui si pensa possa accadere sempre qualcosa di più importante rispetto a quello che stiamo facendo ora e che non è dato perdere.
Davanti alla capanna -quest’anno- andiamo alla ricerca dell’altrove che è dentro di noi, per riaccendere quel rapporto diretto con l’altro, divenuto oramai impalpabile, evanescente, quasi insignificante.
Riaccendiamo – al mattino- non solo il cellulare, ma il collegamento con l’umanità reale, alla stregua di quei pastori che corsero alla capanna guidati da un tam-tam di sussurri, di voci e di ascolto, con la stessa voglia di esserci e di partecipare- con la semplicità della gioia -ad un evento prodigioso ed autenticamente tangibile, digitando nel nostro cuore l’unico, vero, grande messaggio universale di “pace in terra a tutti gli uomini di buona volontà” da condividere con l’intera umanità.