Il dovere della speranza

Sto andando alla presentazione di un libro, al Museo del Sannio.

E’ un tardo pomeriggio di novembre, che più uggioso non si può. E, inoltre, piove e tira vento. Mi stringo nel mio centogrammi e rialzo la sciarpa, affinchè il cachemire di cui è composta arrivi a proteggermi e  a riscaldarmi anche il viso. Nella zona pedonale, un ragazzo nero in piedi col cappello in mano mi fa un sorriso accattivante, mentre  porge  verso di me il cappello. E’ ben vestito. Tiro dritta, mentre faccio finta di distogliere lo sguardo, che cade sull’enorme sagoma di ferro che a breve illuminerà il Natale. Attraverso sulle strisce e, appena guadagno il marciapiede, la vista cade su un uomo rannicchiato a terra, sotto il muro di un palazzo elegante, nel tentativo vano di ripararsi dalla tempesta di pioggia e vento in atto. L’isola pedonale è pressocché vuota con questo tempaccio;  sarà   per questo che  non alza nemmeno lo sguardo, né prova a tendere la mano? Proseguo, mi blocco subito dopo averlo superato, mi volto e prendo dalla tasca tutti gli spiccioli che ho. Glieli porgo con un sorriso, mentre  l’ombrello che mi ripara, rigirato dal vento, mi obbliga ad inseguirlo.

Freddo, vento e pioggia svaniscono appena entro nella Sala Vergineo, già affollata. Un  caldo avvolgente ed, allo stesso tempo, insopportabile mi accoglie, mentre saluto le persone che conosco, in primis l’autrice.

Resto in maniche di camicia per tutto il tempo. Ascolto con attenzione. L’argomento è interessante. L’autrice è una donna colta e sensibile che riesce a cogliere, nelle contraddizioni del nostro tempo, i grandi  interrogativi dell’umanità e ad offrirci spunti di riflessione importanti, in un mondo che corre verso il futuro con l’incapacità di approfondire ogni cosa, incluso il senso che diamo alle nostre  vite.  E’ un piacere ascoltarla.

Ma l’immagine di qualche minuto prima  rimane fissa nella mente e, come un tarlo, inevitabilmente riduce ai minimi termini la mia concentrazione. Sarà perché si continua a parlare di speranza  che  non mi abbandona l’immagine di  quell’uomo, solo ed indifeso, bagnato, forse affamato e senza un ricovero, relegato ai margini di una società, che rivela sempre più la sua sontuosa opulenza nutrita di squallida indifferenza.  Mentre si discute di speranza, c’è un disperato là fuori di cui conosco il volto.  E questo basta ad  inquietarmi , a scuotermi, a farmi sentire a disagio, a spingermi ad interrogarmi su cosa rappresenti la speranza per quell’uomo solo ed infreddolito, come tanti fuori di qui. Una possibile  risposta devo trovarla, perché se no a che servono i libri ? E, finalmente, mentre leggo il saggio  di Teresa, mi si presenta davanti agli occhi: “… la speranza è un bene necessario,  la cui forza è nell’attesa……. Attesa dell’Altro, che quando c’è, non può più ignorarti….Niente è più essenziale all’essere umano della presenza di un altro essere umano sulla Terra

Mi piace pensare che, in quel mio fermarmi, in quel mio guardarlo negli occhi,  in quel  mio sorriso, quell’uomo abbia potuto ritrovare l’alterità dell’umanità, l’unica che riesce a non fare del mondo odierno una desolata landa di solitudini.

 

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