Scarpe che affondano nell’acqua e percorrono viali che s’incrociano ad angolo retto, quasi a richiamare alla mente il simbolo cristiano per eccellenza di afflizione. La pioggia viene giù persistente; il mio riparo cerca di sbarrarle la discesa, deviandone il flusso in rivoli regolari, le cui gocce scompaiono nei cerchi concentrici di pozzanghere che ricevono e riflettono lacrime di cielo. Il luogo è quasi deserto, come non vorrebbe la circostanza, e lo è solo a causa del cattivo tempo. Quel tempo che qui appare fermo ed immutabile, dove il silenzio irreale ti regala la percezione di eterno. Tutto intorno è un’esplosione di colori, che stride con il grigio della fredda pietra. Sembra un paradosso, ma questo luogo di morte riesce a raccontare la vita, mentre vaghi tra le dimore a mezza altezza e ti perdi tra date e foto incorniciate a mezzobusto. Ti soffermi a fare un po’ di conti, a chiederti perché a qualcuno sia stata recisa troppo in fretta e a qualcun altro no, senza riuscire a darti delle risposte plausibili. Pensi che vita e morte non possono essere solo due estremi di un filo, lontani l’uno dall’altro. Il sonno ristoratore ed il suo risveglio non sono forse impercettibili frammenti di morte e di rinascita? E, dunque, vita e morte sono come due gambe che camminano insieme e si sorreggono vicendevolmente.
Coloro che amiamo e che abbiamo perduto, non sono più dove erano, ma sono ovunque noi siamo!
Nessun’altra frase come questa di Sant’Agostino mi convince che è possibile trasformare il dolore di un’ assenza in dolce ricordo per chi non è più fisicamente tra noi, ma continua ad abitare stabilmente nel cuore di chi lo ha amato.
La morte non esiste se non come forma di passaggio, come anticamera di una nuova vita. E così portiamo a spasso la morte mentre conduciamo la vita!
2 novembre 2018