Vicini eppur lontani

 

I nostri ragazzi. Questi sconosciuti. Cosa sappiamo veramente di loro? Mentre parliamo dalle nostre cattedre,  li scrutiamo, così vicini  e pure  tanto distanti.

Assistono alle nostre lezioni, ma quanto ci ascoltano? Non amano voltarsi indietro, verso un passato che giudicano polveroso, come una vecchia  parrucca. Sembrano dirci, annoiati: “la vita è qui…adesso!”

Li osserviamo appagati davanti ad uno schermo acceso,  mentre smanettano  velocemente su un telefonino ipertecnologico che noi neanche siamo in grado di accendere,  a loro agio  tra blog, app e widget,  amicizie virtuali,  vissute su social network o  attraverso sms  lanciati da mani abili ed esperte, mentre volano sul mondo con aerei low-cost a prezzi stracciati, in un  tempo che -superbamente-  se ne frega di ciò  che è stato.

Vivono concentrati in  un eterno presente, dove  le coordinate spazio- temporali, ormai appiattite, dissolvono   passato  e  futuro.

Dormono il sonno della cultura, dopo che, anno dopo anno, abbiamo  spento  progressivamente ogni forma di dialogo e di interesse nei loro confronti.

Il risultato è che nessuno   si confronta  più  e polemizza, sul piano delle idee, con nessuno e  nessun commento -quando c’è- sopravvive alla giornata.

Ciascuno va per proprio conto, in totale solitudine, scivolando -come tante rette parallele- per la sua strada, in un depresso narcisismo, dove tutto è autoreferenziale.

Senza accorgercene o, al più,  nell’ indifferenza generale, abbiamo rinunciato ad attingere dai ” ricchi giacimenti di un passato glorioso”  e siamo passati all’idolatria del  “capitalismo  di oggetti”,  fatto di cose che sembrano  dare  sicurezza e  di consumi  che funzionano come mezzo di consolazione  e come forma di terapia per dimenticare quello che ci frustra, ci ferisce e ci angoscia…..

Non c’è un dibattito culturale che oggi percorra, animi, unisca o divida le persone. La cultura  non  è più forma di appartenenza collettiva, ma strumento per “addetti ai lavori”; è vissuta come un pesante fardello  di  pagine rancide ed inservibili.

La “decostruzione” della tradizione culturale  soffre di  una doppia assenza: quella del docente, vigile e sensibile custode di una tradizione  e quella dello studente, cosciente della propria distanza da quella tradizione ma, insieme, desideroso di avvicinarsi a essa e di farne parte, grazie al contatto, allo scambio e all’incontro e- perché no?-  allo scontro con il maestro.

Riusciremo  a trasformare queste assenze in un rinnovato  incontro tra soggetti?

Si, se saremo ancora capaci di reinterpretare la cultura come “passeggiata pedagogica”, che  sappia andare  alla   riscoperta  dell’ umanità di tutti, che sia in grado di ricercare nel bello e nel buono del passato  le risposte per viaggiare sicuri verso un  futuro ignoto che via via si chiarisce e- se non si chiarisce -viene  interrogato con rigore  e   la giusta lentezza.

Ci potremo ancora provare con insegnanti coscienti della loro missione, del loro compito umano e culturale, dotati di profonda cultura e sensibilità, capaci di resistere fino in fondo alle sirene del postmoderno.

Ricominciando da quella passeggiata purificatrice verso la capanna, che ciascuno di noi  può  rivivere  nell’incanto  di una rinascita  e nella  meraviglia  di un incontro  che si ripete ogni 25 dicembre.

E’  un regalo che Lui fa, in definitiva, ad una umanità che è  in corsa, ma senza sapere dove va!    

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *